Accade a Treviso. Un ragazzo di una scuola media di Pieve di Soligo si candida a «baby sindaco» e compra i voti dei suoi compagni di scuola con ricariche telefoniche, merendine e persino soldi. Scandalo e accuse di brogli. Il risultato: elezioni annullate, ragazzo escluso dalla competizione e la prossima settimana si rivota. In realtà si tratta di «compagni di merende», metafora usata per presunti complici in ben più gravi reati.
La storia dei compagni di merende riportata dal Gazzettino fa riferimento a quella età felice dellinfanzia e delladolescenza che trova la sua condizione ideale nelle cosiddette «ricreazioni», nellintervallo fra una lezione e laltra, nel quarto dora di pausa. Cosa cè di più innocente che trovarsi a far merenda insieme, conversando del più e del meno?
Eppure il caso di Treviso sembra mettere sotto inchiesta anche le merende, stabilendo una catena fra i comportamenti dei ragazzi e quelli degli adulti. Ma oggi si scopre, a Treviso (dopo il memorabile film Signore e signori) che anche gli innocenti non sono innocenti, che anche i bambini sono maliziosi, e che prediligono delle formule elementari di «corruzione». Così un ragazzo può essere eletto «sindaco» dei ragazzi e cerca di ottenere il voto dei compagni regalando loro stecche di cioccolato, caramelle, brioche, insomma merende. Il suo manifesto elettorale potrebbe essere «Più merende per tutti». Io ricordo perfettamente la rabbia che provavo, in collegio, per quel capitalista in merende che era il mio compagno Lucchesi di Forlì, oggi mediatore daffari. Il Lucchesi aveva in dispensa uno scrigno di legno pieno di cioccolate, pasticcini, torte, con cui integrava i lugubri pranzi in refettorio. E ogni tanto, mai per generosità, ma per affermazione di potere, regalava a qualche compagno un pezzo di cioccolata o qualche altra leccornia.
Non so se sarebbe stato eletto sindaco in caso delezioni, ma certamente aveva una buona dotazione per finanziare la campagna elettorale.
Nonostante tutto quel ben di dio, nonostante le merende regalate, i compagni (non per niente si chiamano «compagni») non lhanno votato. E noi siamo qua a parlarne.
Vittorio Sgarbi
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