Cultura e Spettacoli

«Una via a Balbo sì, a Bellow no: ce l’aveva con i neri»

È la sua metropoli d’adozione, quella che con i suoi grattacieli e le sue periferie ha fatto da ambientazione e sfondo a libri epocali, capaci di fargli vincere un Nobel per la letteratura, tre National Book Awards e un Pulitzer. Eppure, a due anni dalla morte di Saul Bellow, una Chicago perplessa volta le spalle al suo più grande scrittore. Gli nega gli attributi minimi del ricordo: una strada, una statua, anche soltanto una targa.
Bellow, che sino a qualche anno fa era un genio, ora è malvisto e considerato in odor di razzismo. Un’etichetta infamante affibbiata dall’amministrazione cittadina che ha subito scatenato polemiche a non finire nell’intellighenzia letteraria, visto che molti la considerano ingiusta e frutto di una lettura becera delle opere di Bellow. Il dibattito alimentato dal più prestigioso quotidiano cittadino, il Chicago Tribune, ha poi fatto riemergere anche una recente polemica relativa alla Balbo Drive, la strada dedicata al trasvolatore italiano. L’idea che si possa onorare un fascista e rifiutare altrettanto a uno dei giganti della letteratura del Ventesimo secolo è parsa bizzarra ai molti estimatori di Bellow.
Richard Stern, che fu collega dello scrittore proprio all’Università di Chicago, aveva fatto richiesta al sindaco, Richard Daley, di trovare il modo di onorare il premio Nobel, possibilmente con una strada nella zona di Hyde Park, quartiere in cui aveva trascorso la giovinezza l’autore di Herzog e L’uomo in bilico. Una parte della città un tempo abitata da immigrati europei e ora prevalentemente nera. Ma la rappresentante del Sindaco cui spettava la scelta, l’afroamericana Toni Preckwinkle ha detto no. In una lettera a Stern, ha spiegato che il motivo era il razzismo di cui lo scrittore avrebbe dato prova.
E in effetti lo stesso Stern ha riconosciuto che alcuni passaggi nei libri di Bellow, alcune sue prese di posizione potevano suscitare perplessità. Celebre è rimasta un’intervista al New York Magazine nel 1988, nella quale Bellow affermò: «Chi è il Tolstòj degli Zulu? Il Proust degli abitanti di Papua? Sarei lieto di poterli leggere».
Ma l’atteggiamento di Bellow nei confronti di altre etnie e culture, secondo gli addetti ai lavori, sfugge alle semplificazioni. Nei suoi romanzi, secondo il suo biografo James Atlas, traspare una profonda simpatia per le condizioni in cui si viveva nei ghetti afroamericani del South e del West Side di Chicago. Per non parlare del fatto che negli anni Cinquanta Bellow sviluppò una profonda e duratura amicizia con lo scrittore nero Ralph Ellison.

Una pluralità di posizioni quindi, e tutte legate alla complessità culturale che Bellow incarnava, che la parola razzismo difficilmente può spiegare da sola.

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