Gian Battista Bozzo
da Roma
«I tassi dinteresse sono unarma di politica economica: la Federal Reserve americana questa spada la usa, la Banca centrale europea la tiene chiusa nel fodero e appesa in bacheca». Nel suo studio al ministero, a pochi giorni dal Ferragosto, Mario Baldassarri scorre grafici e tabelle. LIstat ha appena certificato un rimbalzo dello 0,7% del pil dopo due trimestri negativi, e questo è un buon segnale. Tuttavia il viceministro dellEconomia osserva preoccupato limmobilismo della Banca centrale europea. Rigira nelle mani una tabellina estratta da un suo studio recentissimo, e riflette: «Con un cambio uno a uno col dollaro, lItalia avrebbe più crescita e meno deficit».
Come giudica il ritorno del pil al segno «più»?
«È certamente positivo. E se una rondine non fa primavera, quantomeno serve per scacciare gli uccelli del malaugurio. La crescita non è una manna che piove dal cielo, occorre costruirla con le nostre mani. In Italia, e in Europa. Ciò che conta, oggi, è guardare alleconomia reale, e lobiettivo principale deve essere quello di una crescita solida. LEuropa mira allequilibrio dei conti pubblici e alla stabilità dei prezzi, ma questa strategia porta a un risultato perverso: leuro si rivaluta, leconomia è ferma. Dobbiamo sgretolare questo paradigma sciocco, anche perché lEuropa non vive in uno splendido isolamento dal resto del mondo».
La differenza di crescita fra Eurolandia e Stati Uniti è evidente.
«I numeri sono sotto gli occhi di tutti. I tassi Usa erano al 6% nel gennaio 2001, sono scesi sino all1% nel giugno 2003, martedì scorso sono ritornati al 3,50%. In questo lasso di tempo leconomia americana è cresciuta mediamente del 3,5% lanno. I tassi dellarea euro sono fermi da oltre due anni, e leconomia cresce meno dell1%. Gli Stati Uniti non hanno esitato a determinare un quadro favorevole alla crescita, tanto che sei mesi dopo l11 settembre leconomia ha ripreso a correre come prima. In America i tassi vanno su e giù e leconomia si mantiene a livelli alti, in Europa i tassi sono fermi e leconomia langue».
Eppure tutti ormai concordano sul fatto che la bassa crescita è «il problema» in Europa.
«Guardi, qui è necessario uscire dalla diatriba fra rigoristi e spendaccioni, e bisogna accettare il fatto che si può fare sviluppo col rigore. Limpatto del bilancio pubblico sulleconomia non deve limitarsi allanalisi del deficit e del debito: ci sono la qualità e la quantità del prelievo fiscale e della spesa pubblica. La qualità modifica i percorsi di crescita delleconomia. Per 25 anni le manovre si sono limitate al taglio del deficit, adesso bisogna spostare le risorse».
Si può cominciare con la prossima legge finanziaria?
«Nel Dpef cè limpegno, concordato con lEuropa, di contenere il deficit; ma non è questa la manovra. Occorre abbassare la pressione fiscale e spostare la spesa verso gli investimenti per uscire dalla trappola della bassa crescita. Oltre ai 10 miliardi per ridurre il disavanzo, quanti altri bisogna spostarne, a parità di deficit? Una quantità tale da far ripartire leconomia, non meno di altri 20. Parte di questa cifra può venire da investimenti di aziende pubbliche come Eni, Enel, Poste e Ferrovie. Poi dobbiamo trovare altri 15 miliardi nei 630 dellintera spesa corrente».
È possibile un intervento del genere a pochi mesi dalle elezioni?
«Gli elettori sono persone serie e di buon senso. Questa è una sfida di consenso politico, che deve essere adeguatamente spiegata allopinione pubblica e condivisa con le parti sociali. Ma è lunico modo serio, da parte della maggioranza, di condurre la campagna elettorale. Lopposizione può dire che il suo programma economico arriverà fra dieci mesi; la maggioranza il programma ce lha e lo deve portare avanti. E questo tra laltro risponde alle affermazioni di Standard & Poors... Tutto questo sforzo per spingere sui pedali serve però a poco se qualcuno pigia sul pedale del freno. Basta con una Bce chiusa nella torre davorio».
Che impatto sulleconomia italiana avrebbe un calo delleuro?
«Ecco alcuni dati. Con il cambio che passa subito da 1,30 alla parità (uno ad uno) fra euro e dollaro avremmo nel 2005 una maggiore crescita dell1,4% e un minor deficit dello 0,6%; nel 2006 più crescita dell1,2% e meno deficit dell1,4%; nel 2007 maggiore crescita dello 0,9% e minore disavanzo dell1,7%; nel 2008 arriviamo a una maggiore crescita dello 0,8%, e un minor deficit del 2%. Con un profilo più morbido di passaggio alla parità, avremmo comunque una media di un 1% in più di crescita economia nel quadriennio, e già dal 2007 avremmo un deficit sotto il 3%».
Ma come indurre la Bce a guidare il cambio verso la parità col dollaro?
«Sono convinto che facendo fronte alle nostre responsabilità allinterno, avremmo più titolo per chiedere alla Bce di assumersi le proprie. Questo vale per noi ma anche per il resto dEuropa. Una parte della crisi italiana dipende dalla crescita zero della domanda interna tedesca, tutto è legato».
Sul Times, di recente, si ipotizzava luscita dellItalia dalleuro se la politica monetaria non cambierà.
«LItalia, uscendo dalleuro, si suicida. Ma allo stesso tempo Francia e Germania non risolvono neppure uno dei loro problemi se lItalia lascia la moneta unica.
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