
La manovra 2026 è improntata su due parole d’ordine: equilibrio e fiducia. Il governo punta a sostenere famiglie e imprese, senza rinunciare al percorso di rientro dei conti pubblici.
«Io ho detto che voi non credete ai miracoli, invece io ci credo ai miracoli», ha commentato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ieri prima di lasciare Washington e dopo aver partecipato in videocollegamento al vertice di maggioranza sulla tassazione di banche e assicurazioni. E il fatto che un’intesa sia stata raggiunta dopo le polemiche, neanche troppo latenti, tra Lega e Forza Italia è segno che la mano del destino è stata benevola. La linea del Documento programmatico di bilancio (Dpb), inviato ieri a Bruxelles, è prudente ma ambiziosa, come nello stile di Giorgetti, e mira a conciliare crescita e tenuta dei conti, accompagnando l’Italia fuori dalla procedura per disavanzo eccessivo e cercando di guardare al ceto medio.
E anche questo è, tutto sommato, un «miracolo» considerata la portata minima di soli 18,5 miliardi.
Sul fronte fiscale l’esecutivo conferma il taglio del cuneo e l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef al 23%, per un costo complessivo che anche nel 2026 sarà di 15,1 miliardi. A questo si aggiunge un intervento da 2,6 miliardi per ridurre l’aliquota mediana dal 35 al 33% almeno fino a 50mila euro di reddito. Il beneficio annuo oscilla da circa 40 euro per chi guadagna 30mila euro lordi fino a 440 euro per chi arriva a 50mila. In più, un miliardo viene destinato a misure di decontribuzione e incentivi sui rinnovi contrattuali. Sul fronte delle imprese, arrivano 7 miliardi in tre anni per misure come l’iper ammortamento, fortemente richiesto da Confindustria per stimolare nuovi investimenti produttivi e digitali.
Il quadro macroeconomico delineato dal Tesoro descrive uno scenario moderatamente positivo. La crescita acquisita per il 2025 si attesta allo 0,5%, trainata da una domanda interna in ripresa e da segnali di fiducia nella manifattura e nei servizi. La manovra, secondo le tabelle del Dpb, aggiungerà 0,1 punti di Pil nel 2026 (+0,7% programmatico contro +0,6% tendenziale), grazie agli effetti combinati di riduzione del cuneo, sostegno alla sanità e nuovi investimenti pubblici. Nei due anni successivi l’impatto positivo resterà stabile e È l’effetto positivo cumulato nel triennio 2026-2028, espresso in punti di Pil, della manovra sulla crescita economica. Ammonta a 0,1 punti nel 2026 (da +0,6% tendenziale a +0,7% programmatico) e a 0,2 punti sia nel 2027 che nel 2028. In questi due anni il prodotto interno lordo è stimato in aumento dell’1% e dell’1,1% anziché dello 0,8% e dello 0,9% previsto a legislazione invariata i due decimi di punto in più stimati produrranno una crescita del +1% nel 2027 e +1,1% nel 2028. L’occupazione si manterrà sui livelli record di quest’anno, con un tasso di disoccupazione intorno al 6%, il più basso della serie storica.
Sul versante della finanza pubblica, il deficit scenderà al 3% del Pil già nel 2025, un anno prima rispetto agli obiettivi europei, aprendo la strada all’uscita dalla procedura di deficit eccessivo.
Il debito pubblico seguirà una traiettoria discendente: dal 137,4% del Pil previsto per il 2026 fino al 136,4% nel 2028.
Il contributo richiesto al sistema bancario e assicurativo, stimato in 4,4 miliardi di euro nelle tabelle del Dpb, troverà sistemazione definitiva nel Consiglio dei ministri odierno, ma l’intesa di fondo, come detto, c’è. Attorno al tavolo Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi con il viceministro dell’Economia Maurizio Leo hanno raggiunto l’intesa. I contatti con l’Abi sono rimasti aperti. L’associazione bancaria, in una nota diffusa due giorni fa, ha ribadito la disponibilità a collaborare «nella stessa logica concordata lo scorso anno», escludendo tuttavia la via delle tassazioni straordinarie. Una posizione che ha trovato sponda in Fi.
«Non ci sarà alcuna tassa sugli extraprofitti come sempre chiesto da Forza Italia, per gli utili messi a riserva ci sarà la possibilità di distribuirli ai soci applicando una tassa del 27,5% invece di quella prevista fino ad oggi del 40%.