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"Balducci decisivo nell’affare d’oro di Lunardi"

La richiesta di autorizzazione a procedere dei magistrati di Perugia: ecco come il palazzo del valore di 8 milioni venne acquistato a 3 da una società amministrata dal figlio dell’ex ministro. Al rogito era presente il cardinale Sepe

"Balducci decisivo nell’affare d’oro di Lunardi"

Roma - Sarebbe stato «l’intervento risolutivo» di Angelo Balducci, secondo la Procura di Perugia, ad aver permesso all’ex ministro Pietro Lunardi di acquistare «a un prezzo di favore» dalla congregazione di Propaganda Fide il palazzetto di cinque piani di via dei Prefetti, nel centro storico di Roma.

Il coinvolgimento nella vicenda dell’ex presidente del consiglio superiore dei Lavori pubblici Balducci è uno degli elementi messi nero su bianco dai magistrati umbri nelle sei pagine di richiesta di autorizzazione a procedere per l’ex titolare delle Infrastrutture. Il documento, che porta la data del 19 giugno scorso, ricostruisce la vicenda per cui Lunardi è indagato per corruzione. L’acquisto del palazzetto fu effettuato tramite la immobiliare San Marco, di cui era amministratore il figlio di Lunardi, Giuseppe, e al rogito (alla presenza del cardinale Sepe) provvide il 3 giugno 2004 il notaio Gianluca Napoleone, lo stesso delle case che, secondo gli inquirenti, Anemone fece comprare all’architetto Angelo Zampolini per conto dell’ex ministro Claudio Scajola e del generale Francesco Pittorru. Lunardi pagò l’immobile 3 milioni di euro tondi, finanziando con un mutuo l’80 per cento del prezzo.

Per gli inquirenti qui c’è il primo punto che non torna. Perché nel suo interrogatorio a Perugia del 18 maggio scorso, proprio Zampolini dichiara, in chiusura di verbale: «Il valore dell’immobile era sicuramente superiore ai 3 milioni di euro indicati, all’incirca almeno 7 milioni, anche 8». Dunque, ecco il «prezzo di favore», che le toghe ritengono «evidentemente inferiore al reale valore di mercato». Ma per la Procura c’è di più. «A fronte di tale acquisto Lunardi, all’epoca ministro (...), consentiva grazie a tale sua qualifica che la Congregatio Pro Gentium Evangelizatione (Propaganda Fide) accedesse al finanziamento Arcus, in difetto dei presupposti, per l’importo di 2,5 milioni di euro per la realizzazione di un museo aperto al pubblico da realizzarsi nella sede di piazza di Spagna».

Questo dunque il teorema. Supportato nella richiesta dei Pm non solo dalle dichiarazioni di Zampolini, ma anche da quelle di Ettore Pietrabissa, direttore generale di Arcus, che alla Corte dei conti che indaga su quel finanziamento aveva parlato di una segnalazione avvenuta «secondo una procedura non frequente, dal capo di gabinetto del ministro delle Infrastrutture». E da documenti. Come la «nota datata 1 marzo 2005» con cui Propaganda Fide «nella persona del cardinale Crescenzio Sepe» (anch’egli indagato, ndr) chiede «al ministro per le Infrastrutture Lunardi il finanziamento (...)» per il museo, e «la nota “d’ordine del ministro” delle Infrastrutture datata 21/10/2005 di richiesta di trattazione “prioritariamente, e in via di massima urgenza”, di alcuni progetti, tra cui quello appena segnalato».

Nel materiale allegato alla richiesta, anche la trascrizione del primo interrogatorio di Angelo Zampolini. L’«uomo di fiducia» di Anemone non è però tenero con l’imprenditore. Racconta che molte delle sue fatture (che i Pm gli contestano) Anemone non gliele avrebbe mai pagate. «Anemone - mette a verbale - in genere non pagava per i lavori fatti per lui», e «la sua fortuna commerciale era data unicamente dal fatto che era sponsorizzato da Balducci». Insomma, «lavorare con lui era comunque una cosa positiva perché era come fare un favore a Balducci».

In quell’interrogatorio, oltre a dichiarare che Balducci «mi raccontava che il ministro Di Pietro era un tipo irruento e impetuoso e che chiedeva a Balducci di avere un’entratura in Vaticano», Zampolini rende la sua versione sulla casa di Bertolaso in via Giulia, come noto molto diversa da quella data dal capo della Protezione civile: «Anemone - mette a verbale l’architetto - mi disse che cercava un appartamento. Io l’ho aiutato a trovarlo, era quello di via Giulia. Ho saputo dopo che la casa era per lui (Bertolaso, ndr). Me lo disse lo stesso Curi, ovvero il proprietario dell’immobile (...).

Fu Anemone a consegnarmi i soldi per pagare l’affitto, e io li trasferivo al regista Curi».

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