Si può perdere senza sentire fischi dallo stadio Olimpico. Specie se il rivale della sera si chiama Uruguay, con un maestro in panchina, Oscar Tabarez, e in campo una squadra collaudata, molto matura, astuta, piena di mestiere oltre che di copione tattico. Si può perdere senzatrovaretraccedicensureaspreall' indirizzo dell'Italia di Prandelli perché la sua giovane Nazionale ha il dovere di crescere non solo attraverso risultati prestigiosi, tipo quelli conseguiti con Spagna e Germania, o l'ultimo, in Polonia ma anche, anzi soprattutto, attraverso curve insidiose, a gomito da superare con coraggio e volontà.
Sfiorato più volte ieri sera il bersaglio, sfiorato cioè il pareggio, a un certo punto della ripresa anche meritato dagliazzurri a dimostrazione solenne che in attacco il solo Balotelli non può bastare. C'è bisogno di altro, molto altro per aspirare a un europeo da protagonisti. Una Nazionale si misura anche così, nelle difficoltà improvvise e impreviste. Quando ad esempio accade che al primo blitz della Celeste, la difesa azzurra, affezionata all'imbattibilità di Buffon, si ritrovi tutta o quasi fuori misura: Balzaretti lascia un valico alle sue spalle, Ranocchia perde di vista Fernandez e gli lascia lo spazio vitale per una girata comoda ed efficace. Una Nazionale si misura anche così, nella capacità di risalire la china, diriorganizzarsisenzaperderedi vista distanze e organizzazione tattica e l'Italia di Prandelli prova a superare anche una prova del genere, dopo tutte le altre conosciute lungo la striscia del nuovo ct.
Fra l’altro l’Italia non perdeva in casa dal 16 agosto 2006, amichevole contro la Croazia, in panchina Donadoni. Partire con un gol sulla schiena, non è operazione semplice nemmeno nella sera in cui c'è da festeggiare i 150 anni dell'unità d'Italia e c'è da scollinare l'Uruguay, recente vincitore della coppa America, quarta nella classifica mondiale della Fifa.
Le difficoltà maggiori provengono quasi in esclusiva dallo smalto discutibile del centrocampo nel quale emerge il talento geometrico di Pirlo, uno dei pochi a restare al buio nella notte polacca mentre evadono presto Montolivo (sostituito ad avvio di ripresa dal generoso Pepe, stesso aggettivo usato ai tempi per Ciccio Graziani) e Marchisio. Dinanzi a un rivale organizzato, capace anche di picchiare sodo (4 ammonititraigiovanottidiTabareznelprimo tempo, un record per un'amichevole), regge il confronto in modo maestoso Mario Balotelli che incarna ogni reazione degna di nota pur essendo sottoposto a un martellamento (a turno gli saltano sulle caviglie e lo tengono per la maglia) di solito riservato ai numero uno.
Muslera, il caro giovane Muslera, terrore dei tifosi laziali, si esalta proprio su una stoccata di Mario e su una girata al volo di Pepe che sono le rappresentazioni plastiche ( insieme con un colpo di testa di Osvaldo e una girata moscia di Balzaretti) dell'orgoglio azzurro. Non è solo una questione di modulo, come probabilmente pensa Cesare Prandelli che nell'intervallo corregge lo schieramento passando al 4-3-3 prediletto. È una questione più complessa cheattieneallamaturitàdeisuoi, capaci di spendere tutte le migliori energie fino alla fine, con l'arrivo di Matri (al posto di Osvaldo), di Pazzini (al posto di Marchisio) e un assedio tipo fort Apache, allestito più con la forza della disperazione che con lucida determinazione.
È una questione che attiene allo spessore del club Italia che forse ha bisogno di qualche altro campione da schierare al fianco di Balotelli, per esempio. Un nome? La nostalgia canaglia per Antonio Cassano è scontata ma forse è anche il caso di migliorare la qualità dei difensori degli argini laterali, Balzaretti per fare un cognome.
L'Uruguay senza il suo re del gol, Suarez, con Cavani in ombra, chiude in dieci, asserragliata nella sua area di rigore come ai vecchi tempi, ma si vede che tiene maledettamente a difendere lo scintillio del suo recente trofeo e a guadagnarselo con un altro paio di conclusioni fermate tra le ganasce di Buffon.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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