Marzio G. Mianda BaltimoraOvest di Baltimora, nemmeno mezz'ora a piedi dallo sfavillante waterfront, l'ex area portuale recuperata e trasformata in nuovo centro urbano, omologata ai tanti mega progetti internazionali con i quali le città sbaraccano gli improduttivi, puzzolenti moli e si fanno contemporanee e smart, i «camalli» vengono sostituiti dai camerieri, i cantieri navali fanno posto ad acquarium e gallerie d'arte. L'incrocio tra Pennsylvania avenue e West North avenue, nel quartiere di Sandtown, porta invece i segni della guerra. Qui si è combattuto nell'aprile scorso dopo la morte di Freddie Gray, 25 anni, lo spacciatore nero arrestato (per la diciottesima volta) e deceduto a causa di una grave lesione alla spina dorsale avvenuta nel blindato della polizia. L'aria sa ancora di bruciato e di vendetta, in lontananza il pulsare ossessivo della techno. Il vento fa volteggiare la cenere dei circa duecento negozi dati alle fiamme; nella farmacia Cvs, espropriata di duemila dosi di oppiacei come l'ossicodone in diretta tv la notte del 27 aprile, si distinguono nello stesso mucchio un passamontagna e una giubba con lo stemma del Baltimore Police Department. Sulla saracinesca di quella che era l'entrata del sex-shop Sugar si legge «no justice, no peace». Sono appena cominciati i processi contro i sei poliziotti, tre neri e tre bianchi, accusati per la morte di Freddie, proprio mentre l'America, guidata dal primo presidente di colore, affronta un anno elettorale infiammato dalla questione razziale, mai così esplosiva dall'assassinio di Martin Luther King nel 1968 e innescata da un'escalation di casi di afroamericani - spesso disarmati - uccisi dalla polizia: il primo a scatenare violente proteste quello di Michael Brown ucciso a Fergusson, Missouri, nel 2014. Ma è quest'incrocio di Sandtown l'epicentro dell'odio che monta nel Paese, la «Striscia di Gaza d'America» l'ha (...)(...) definito il Baltimore Sun per sottolineare la componente «anticolonialista» del movimento: qui si teme infatti che possa imporsi un'inedita violenza, non più contro il potere capitalista bianco e la ghettizzazione metropolitana, ma di matrice separatista: questa è già un'enclave dove la polizia, definita «esercito occupatore», dall'aprile scorso ha battuto in ritirata lasciando il territorio alle gangsta rap, i Crips, i Bloods, soprattutto la Black Guerrilla Family (che già da vent'anni autogestisce la prigione di Baltimora) rese telegeniche dalla fiction The Wire, ambientata proprio in questi quartieri di West Baltimora. «Se solo uno dei sei poliziotti la fa franca la vendetta sarà devastante. Ci trattano come cani? Noi diventeremo lupi», ringhia una ragazza all'uscita dell'unico esercizio aperto, un chiosco di cellulari usati.La chiamavano Charme city, per l'eleganza delle case patrizie e la sofisticata mondanità che faceva invidia alle vicine Philadelphia e Washington; il glam delle famiglie mafiose di Baltimora, i Mangano, i Gallo, i Corbi, veniva contrapposto al kitsch dei Gambino o dei Genovese di New York. Ora Baltimora è Bodymore, la città dei molti cadaveri: 320 assassinati nel 2015, cinque volte Boston e 14 volte New York rapportando il dato alla popolazione. Anche Edgar Allan Poe, che qui aveva fantasticato cupe atmosfere gotiche troverebbe questa carneficina esagerata. La sifilide è 18 volte quella della media americana, sessantamila i drogati, uno ogni dieci abitanti. Se ne vanno mille cittadini al mese, erano quasi un milione alla fine degli anni Settanta e oggi sono rimasti poco più di seicentomila, due terzi dei quali afroamericani, una comunità che a Baltimora detiene tre record a livello nazionale: povertà, analfabetismo, crimine. Eppure il potere locale è da decenni saldamente nelle mani dei neri: capo della polizia, il sessanta per cento degli agenti, il procuratore capo, il presidente del consiglio comunale, la sindaca Stephanie Rawlings Blake (presidente del club dei sindaci Usa) sono neri. «Difatti non si può parlare di razzismo, Baltimora è una bomba pronta a esplodere a causa della politica locale alimentata dall'assistenzialismo; una macchina di potere sostenuta delle leggi anti povertà varate dalle amministrazioni democratiche a Washington sin dagli anni Sessanta», sostiene Fred Siegel, studioso di politiche urbane, ex consulente di Rudolph Giuliani e membro del conservatore Manhattan Institute for Policy Research. «Un ricatto permanente, io la chiamo riot ideology, ideologia della rivolta, welfare finanziato usando la paura di possibili disordini. Negli anni Ottanta il sindaco nero di Washington, Marion Berry, spiegò come funzionava il meccanismo: i bianchi hanno paura delle Pantere nere e sono pronti a sborsare un sacco di soldi a chiunque sia un po' più moderato, disse...». Baltimora è il modello di questa «politica criminale», dice Siegel. Perché qui le rivolte sono più che minacce. Sono una tradizione. Nel 1968 vennero mobilitati 11mila soldati federali per sedare la guerriglia che durava da quaranta giorni. Da allora Baltimora è stata in prima fila nella questua di soldi pubblici a favore di progetti sociali. Il sindaco William Donald Schaefer che ha governato dal 1970 al 1987, abile nello spremere risorse governative per scongiurare il rischio disordini, e promosso poi governatore del Maryland, ha trasformato Baltimora in una specie di seconda città «federale» dopo Washington, ottenendo leggi speciali anti povertà e sussidi pubblici doppi rispetto a Chicago e Detroit. «Una cassaforte per i burocrati della miseria», dice l'irriverente scrittore Van Smith, «senza peraltro scalfirla, anzi. Grazie alle amministrazioni Carter e soprattutto Clinton i sindaci hanno succhiato centinaia di milioni di dollari destinati a promuovere la politica del lavoro. Durante i tre mandati di Kurt Schmoke, gli afroamericani hanno perso 150mila posti di lavoro». Mega progetti immobiliari nei quartieri neri gestiti da palazzinari come James Rouse, grande finanziatore del partito democratico, hanno prodotto un paesaggio di rovine, 37 per cento di case abbandonate a Sandtown e Winchester contro il 7 per cento della media cittadina. Schmoke, spiega Van Smith, «fu il primo dei sindaci democratici negli anni Novanta a definire la droga un problema di salute pubblica e non di giustizia criminale. Sostenuto dal miliardario George Soros, più tardi finanziatore di gruppi legati al movimento Black Lives Matter, fece distribuire aghi puliti agli eroinomani. E Baltimora divenne la città più drogata d'America».Sandtown confina con il campus del prestigioso Johns Hopkins medical center, ma conta il 33 per cento di giovani che non hanno un diploma di scuola superiore; nel 2011 uno studio di Harvard ha calcolato che centomila scolari dei quartieri afroamericani di Baltimora erano analfabeti, nonostante la pioggia di denaro pubblico per duecentocinquanta patronati scolastici e l'80 per cento degli istituti autogestiti dal sindacato degli insegnanti afroamericani. Ogni cento donne si contano 84 uomini, quelli che mancano sono in carcere o morti ammazzati. Qui, ha calcolato il Washington Post, il reddito medio di un ragazzo nero di ventisei anni è 28 volte inferiore a quello di un coetaneo di colore nel resto d'America. Fred Siegel ha conosciuto la rinascita di New York avvenuta dopo la cura Giuliani della «tolleranza zero». «Mentre nei Novanta il Paese sperimentava una nuova qualità della vita urbana e la criminalità diminuiva ovunque, a Baltimora cresceva il degrado e correva il sangue», dice. Il sindaco Martin O'Malley fu l'unico a provarci: cominciava le sedute in sala giunta con l'elenco dei morti della settimana, voleva seguire la ricetta Giuliani e prese in prestito il mitico Ed Norris dal dipartimento di polizia di New York: Norris e O'Malley durarono poco perché volevano mettere mano alla catena di comando nella rete della sicurezza e contrastare la corruzione tra gli agenti. «Non puoi trasformare i caterpillar in farfalle», dice un rassegnato vecchio portuale al The Horse you came in on, il più antico saloon d'America, dove Poe bevve quello della staffa prima di congedarsi dal mondo.Baltimora paga la mala politica. Ma anche la sua storia opaca. Una città con l'economia del Nord e la cultura del Sud; mai veramente libera dal pregiudizio razziale. Il porto divenne il primo scalo marittimo per le importazioni di tabacco e zucchero dai Caraibi, così come il più attivo in Nord America nel commercio degli schiavi: l'ultimo carcere schiavista venne smantellato solo nel 1863. Nel Maryland, membro dell'Unione, le simpatie per la Confederazione non si sono mai spente; a Baltimora solo il 3 per cento degli elettori votarono Lincoln nel 1860 e la prima vittima della guerra civile cadde a Pratt Street nel 1861, quando dimostranti pro Sud attaccarono una colonna di nordisti diretti a Washington. Nel 1910 gli elettori si opposero a emendare la Costituzione e permettere così il voto ai neri; e sempre in quegli anni, dopo che un giovane di colore appena laureato a Yale prese alloggio in un quartiere alto borghese, venne istituito per legge un criterio urbanistico per razza, con il quale caseggiati e isolati erano classificati «bianchi» o «neri». Ecco perché a Baltimora l'ideologia ultras del movimento Black Lives Matter dilaga: l'America è razzista senza possibilità di redenzione, dicono; la città nera deve autosegregarsi dal resto della società americana. Non a caso Ta-Nehisi Coates, giornalista enfant prodige di The Atlantic Monthly e scrittore di bestseller, è di West Baltimora, figlio di una Pantera nera, cresciuto a pochi isolati dalla casa di Freddie Gray, lo spacciatore morto nel cellulare della polizia al suo diciottesimo arresto. Un successo travolgente quello di Coates, perché dice cose estreme che piacciono anche al pubblico bianco, forse in cerca d'autoflagellazione: chiede la completa ritirata degli sbirri dai quartieri afroamericani e la secessione della popolazione nera anche dal mondo degli ideali e del sogno americani. Hanno fallito anche i politici neri, afferma: «Il tempo dell'ipocrisia è finito». Questo il clima tossico che circonda il processo dei sei agenti. «No Justice, no peace»: la pubblica accusa, Marilyn Mosby, ha detto che condivide, ancor prima di formalizzare i capi d'imputazione.
Così come condivide suo marito, Nick Mosby, consigliere a West Baltimora e candidato a succedere alla sindachessa Stephanie Rawlings Blake, la quale condivide anche lei tanto che, nonostante la città sia in piena bancarotta, ha ordinato subito di stanziare quasi sette milioni di dollari di risarcimento morale alla famiglia di Gray: basteranno a evitare la rivolta?Marzio G. Mian- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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