Roma Crac Cirio. Crac Parmalat. Furbetti del quartierino. Governi che pompano soldi dalle banche nelle tasche dei politici (prelevandoli dai conti correnti dei risparmiatori). Mario Chiesa 1 e 2. L’illegalità dei crimini finanziari, insomma, metabolizzata all’italiana: tra indulti e patteggiamenti. E mentre oggi i prefetti controllano le banche, magari c’è chi pensa che ieri il nostro sistema sapeva combattere il marciume. Anzi, non esisteva chi truccava i bilanci. Errore: più di cent’anni fa, a Unità d’Italia appena fatta, con Roma Capitale (1872) fresca fresca, piena di gente pronta all’inciucio edilizio, mangiavano già tutti alla greppia di Stato del «sor Bernà». Palazzinari senza scrupoli chiedevano prestiti senza essere solvibili. E onorevoli come Giovanni Giolitti e Francesco Crispi, odiatori reciproci i cui nomi battezzano le vie delle nostre città, si facevano pagare le campagne elettorali, o le amanti (vedi Re Umberto) da Bernardo Tanlongo, governatore semianalfabeta della Banca Romana, nata nel 1835 nello Stato Pontificio e sepolta nel 1893 da una valanga di cambiali a vuoto (e Pirandello ci scriverà su I vecchi e i giovani).
E adesso quello scandalo, il primo e subito vergognoso esempio di corruzione nel Bel Paese, scoppiato nel 1892, quando il deputato radicale Napoleone Colajanni denunciò in Parlamento quelle emissioni di banconote a ruota libera, rivive nella fiction tv Lo scandalo della Banca Romana (due puntate in ottobre su Rai Uno, esterni girati a Belgrado), mélo in costume di Stefano Reali, con Giuseppe Fiorello, Vincent Perez, Andrea Osvart e Lando Buzzanca, nel ruolo del gottoso «sor Bernà», rozzo amico della regina Margherita e gran mangiatore d’abbacchio. «I banchieri sono i primi usurai! Oggi la gente non ce la fa più: c’è troppa ricchezza da una parte, e troppa gente che stenta dall’altra. Il mio Tanlongo, però, il primo grande corruttore d’Italia, fu costretto dalla politica a stampare banconote false per 40 milioni, emettendole in serie doppia. E fu l’unico a farsi tre anni di galera», rivela Lando Buzzanca, che, grazie alla sceneggiatura (nel team di scrittura, Andrea Purgatori) disegna un «civil servant» in versione canaglia umana. «Tanlongo era uno che usciva in carrozza per distribuire tra i poveri i soldi della Banca Romana. Certo, soldi non suoi. Il popolino lo adorava: fu un capro espiatorio. Un “mazzettaro” molto lontano da me, che da ragazzo, aspirante attore morto di fame, mangiavo al Circolo San Pietro. Tuttavia, ci ho tenuto alla dignità del personaggio: tuba e frac, per uno che sapeva di far male. Alla figlia (Ramona Badescu, ndr), mentre lo arrestano, dice: “Sappi che l’ho fatto per voi”. E alla nipotina promette: “Torno, non ti preoccupare”». Il solito familismo amorale, piaga nostrana? «Ma l’uomo s’arrangia in tutto il mondo! I banchieri del mondo sono figli di puttana. Come Paperone, hanno dollari al posto delle pupille», s’infiamma Lando, tempo fa vittima d’un commercialista distratto. «A 73 anni, ancora m’affaccio a guardare la luna, dalla mia casa di Ponte Milvio. E amo mia moglie Lucia, cacciata di casa da ragazzina, perché da figlia di un gioielliere catanese aveva scelto me, artista spiantato. Ora aspettiamo le nozze di diamante...».
Da uomo d’ordine Il commissario Vivaldi sarà mariuolo (a fin di bene) pure nell’erigenda commedia tv Il signore della truffa: «Vado in galera, ma solo per salvare il condominio». A vederlo unicamente come anziano, anche se baldanzoso, pare stiano pensando Ettore Scola e le figlie Paola e Silvia. «Hanno scritto per me Il badato, un tv-movie.
Da badante di Crispi a badato da una fanciulla dell’Est. Una perfetta parabola italiana per Il merlo maschio.
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