Altro che poteri forti. Le banche d’affari non fanno un affare. E sono davvero mal messe. Prima di gettare la zuppa nel lavandino, assaggiatela. In effetti solo pochi anni fa, ma comunque dopo la grande crisi dei subprime americani, il numero uno di Goldman Sachs ( la reginetta delle banche d’affari mondiali) Lloyd Blankfein, in un’intervista diceva: il mestiere delle banche è quello di raccogliereil danaro dai risparmiatori e impiegarlo creando occupazione, e dunque il mio mestiere e quello dei miei colleghi è «fare il lavoro di Dio». Oplà. Mica male. Anche se il trio di Goldman in Italia, Paolo Zannoni (ottime erano le sue entrature con l’avvocato Agnelli), Massimo della Ragione e Francesco Pascuzzi di questi tempi devono avere un po’ messo da parte la loro santità. E, come loro, tutti i supermanager delle banche di investimento del Belpaese. Negli ultimi quattro anni ci sono state la miseria di 14 quotazioni in Borsa e solo tre hanno avuto un controvalore di offerta superiore ai 100 milioni di euro: Yoox, Enel Green Power e Ferragamo. Poca roba in un mercato che è fatto da decine di attori. Con strutture costose, uffici di rappresentanza e abitudini da grandeur.
Praticamente a secco il mercato dell’equity, le cose non vanno meglio negli altri due comparti dell’investment banking. Le operazioni di fusione e acquisizione sono al lumicino: semmai qualche vendita di aziende italiane all’estero. E con i mercati con tassi al 7%, sul mercato del debito è peggio che andar di notte. Pochi private placement, rarissime obbligazioni societarie. Sì certo Telecom e Enel sono appena uscite con due emissioni: ma si contano appunto sulle dita di una mano. Mentre le banche d’affari sono ben di più. Unicredit con il suo aumento di capitale da 7,5 miliardi ha dato un po’ di ossigeno: una quarantina di milioni per il capofila, una dozzina per cobookrunner e per gli altri briciole.
Le strutture costano e gli affari si riducono. Pochi giorni fa Sergio Ermotti, annunciando i tagli alla sua Ubs, ha più o meno detto: torneremo agli anni ’90 e quello che abbiamo visto nel nostro settore negli ultimi 10- 12 anni è un’anomalia. Insomma la festa è finita. Il suo ex compagno in Unicredit, Federico Ghizzoni, ha praticamente dismesso la sua banca d’affari:anche se ha ancora in casa e sui libri un po’ di operazioni messe in piedi proprio da Ermotti. Assorbono molto capitale (che è merce sempre più rara) e rendono poco.
Da un po’ di anni anche le grandi investment bank hanno cercato di portarsi a casa uomini ai confini della nostra politica per cercare, diciamo così, di conoscere meglio le opportunità di affari del nostro paese (da Siniscalco a Ermolli, da Cipolletta a Testa). Non è detto che oggi possano far granchè. Dietro alle tre reginette romane (Finmeccanica, Enel, Eni) c’è la fila: e non basta il proprio curriculum più o meno governativo per fare affari. Al contrario si assiste al processo inverso. Un ottimo banchiere come Maurizio Tamagnini, ex Merrill Lynch, molla la banca e va a lavorare al fondo strategico del Tesoro.
Cosa cambia con l’arrivo di Corrado Passera al governo? Be’ intanto arriva un signore che questo mercato lo conosce bene. E gli strumenti per coinvolgere quattrini privati in grandi progetti infrastrutturali sono il suo pane (chissà se riuscirà mai a far partire anche in Italia il PPP, private public partnership?). Ma soprattutto arriva un banchiere che ben conosce l’appetito delle banche d’affari per un eventuale nuovo processo di vendita delle nostre ex partecipazioni statali.
Difficile pensare che Passera, il banchiere che tenne in Italia Alitalia e che ne paga ingiustamente un prezzo reputazionale, si metta a svendere a beneficio di qualche grande banca d’affari quel che resta della corporate Italia.Ps. Ieri tutti a Firenze all’Aspen di Tremonti.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.