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L’oro di Bankitalia, una tempesta in un bicchier d’acqua

L’emendamento sulla proprietà delle riserve auree svela la complessità dei rapporti tra Stato e Banca Centrale

L’oro di Bankitalia, una tempesta in un bicchier d’acqua
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Un emendamento alla manovra finanziaria 2026 presentato da Fratelli d’Italia ha riacceso un acceso dibattito sulla proprietà delle riserve auree italiane. Di chi è l’oro? E cosa se ne fanno gli italiani? L’emendamento voleva chiarire che l’oro custodito dalla Banca d’Italia appartiene allo Stato italiano, suscitando immediate critiche dalla BCE e dividendo l’opinione pubblica. Vediamo di fare chiarezza, perché forse siamo di fronte a una tempesta in un bicchier d’acqua.

Primo punto: le riserve auree appartengono alla Banca d’Italia perché così stabiliscono i bilanci dell’istituto (dove sono iscritte) e i trattati europei, che prevedono che l’oro debba essere posseduto dalla banca centrale di ogni Paese, e non direttamente dallo Stato. Questo è primo punto che crea confusione, perché sia lo Stato, sia Bankitalia sono italiani. Quindi l’oro è già degli italiani, ma lo Stato non lo può utilizzare, come fa con tanti altri beni nazionali, per esempio gli immobili pubblici. Il secondo punto allora è: chi decide quando usare questa riserva strategica in caso di gravissima emergenza? Il dibattito ha evidenziato la complessità dei rapporti tra Stato, Banca d’Italia e istituzioni europee come la Bce.

La Banca d’Italia custodisce 2.452 tonnellate di oro fisico, il terzo maggior tesoro aureo al mondo dopo Stati Uniti e Germania. Questo patrimonio vale oggi circa 288 miliardi di euro ed è distribuito in questo modo: 1.100 tonnellate sono a Roma (lingotti di vari pesi e circa 4 tonnellate in monete d’oro) nel caveau di Via Nazionale, chiamato “la sagrestia”, mentre 1.061,5 tonnellate si trovano a Fort Knox negli Stati Uniti. Le restanti riserve sono depositate tra Svizzera (149 tonnellate) e Gran Bretagna (141 tonnellate). L’oro è dunque di Bankitalia. Ma di chi è la Banca centrale nazionale? E qui la situazione si ingarbuglia ancor di più. Infatti Bankitalia è un istituto di diritto pubblico, come stabilito dalla legge bancaria del 1936 e confermato dalla Cassazione nel 2006. Ma il suo capitale di 7,5 miliardi di euro è in mano privata: appartiene a banche, assicurazioni, fondazioni bancarie ed enti previdenziali italiani. I principali azionisti sono Intesa Sanpaolo, UniCredit, Inarcassa e altre istituzioni finanziarie. Nessun azionista può possedere più del 5% del capitale. Inoltre gli azionisti non possono nominare il governatore, che è indicato dal Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio dei ministri, quindi del governo. I soci non hanno nemmeno diritto ai dividendi completi, possono ricevere complessivamente al massimo il 46% dell’utile netto, il resto va nelle casse pubbliche. In altri termini, pur essendo i soci soggetti privati, essi non hanno alcun potere sulla Banca Centrale, che è un istituto di diritto pubblico. In questa forma la Banca d’Italia aderisce poi al sistema europeo delle banche centrali, risultando membro della Bce. E in quanto tale il suo oro, dall’introduzione dell’euro, è vincolato alle regole della Bce, che emette la nostra moneta, cioè l’euro.

Ecco allora che il dibattito sulla proprietà dell’oro appare un esercizio intellettuale o giuridico, ma non ha valore pratico.

L’oro è già degli italiani, ma è custodito e gestito da un istituto autonomo, ed è sempre stato così perché, in fin dei conti, l’oro non è una disponibilità liquida, bensì una riserva, da non utilizzare mai, a meno che non capiti un cataclisma finanziario. O bellico. Ma in quel caso gli italiani si troverebbero ad avere così tanti problemi che quello dell’oro passerebbe in secondo piano.

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