Il problema delle pensioni riguarda tutti. Ma se chi è oggi vicino a maturare la pensione si deve misurare con età sempre più avanzata e assegni sempre più piccoli, ben peggio sarà per le giovani generazioni. Il punto, ben noto, è che il combinato disposto del calo demografico, dell’aumento dell’aspettativa di vita e della bassa crescita del Pil rendono difficile, in futuro, pagare pensioni sufficienti a garantire un certo tenore di vita per gli ultimi 20 (o anche di più, si spera) anni della nostra esistenza.
L’età della pensione si muove da un intorno dei 60 anni che valeva alla fine del secolo scorso, a quello più vicino a zona 70 del prossimo decennio. E questo perché un maschio italiano nato nel 1960 aveva un’aspettativa di vita di 67 anni, mentre uno che nasce oggi può aspirare – mediamente - a campare 82 anni: in 65 anni di tempo l’aspettativa di vita è aumentata di 15 anni. Inevitabile dover lavorare di più. Ma non basta. A fronte del calo demografico, ci si trova in una situazione con sempre più pensionati e sempre meno lavoratori giovani che versano i contributi. Infine, per chiudere il quadro, il lavoro per i giovani è oggi meno facile da trovare e meno retribuito di quanto non fosse 50-60 anni fa. Per cui anche l’ammontare dei contributi versati (che sono una quota fissa del reddito) cala e contribuisce a formare pensioni future più povere.
In questo senso l’ultima proposta del governo in tema di previdenza pare un’ottima idea. Si tratterebbe di incentivare l’apertura di una posizione previdenziale individuale fin dalla culla. Come? Attraverso un versamento ad hoc, fisso, periodico, intestato al minore, finalizzato alla costruzione di un montante pensionistico, fiscalmente agevolato, al quale lo Stato aggiunge qualcosa di suo in quota fissa per un periodo prefissato. Esempio: a un versamento mensile di 100 euro lo Stato ne aggiunge 50 esentasse fino al compimento dei 18 anni. Se gli euro versati sono 10, lo Stato ce ne aggiunge 5. Insomma, un “maialino previdenziale” per le future generazioni. Sul quale esiste già qualche simulazione.
Per esempio: 100 euro al mese – capitalizzati a un tasso d’interesse analogo a quello offerto da strumenti monetari a rischio molto basso - al compimento della maggiore età valgono circa 35mila euro (che diventano oltre 50mila con il contributo pubblico). E se versati fino all’età attualmente pensionabile di 67 anni, diventano 650mila, che permetterebbero una rendita pensionistica integrativa di tutto rispetto.
La questione, però, più che finanziaria è culturale: serve la consapevolezza che un investimento periodico previdenziale è indispensabile per quella che chiamiamo pensione.
Un tale impegno deve essere sostenibile e non deve essere vissuto come una privazione rispetto al reddito disponibile. La strada di un aiuto da parte dello Stato, fa parte di quelle iniziative il cui costo è senz’altro nell’interesse di tutta la collettività.