L'amministratore delegato di Unicredit si toglie un bel pugno di sassolini dalle scarpe. Nella sua audizione di ieri davanti alla Commissione d'inchiesta sulle banche, Andrea Orcel non evita nemmeno uno degli argomenti più delicati. A partire dall'addio alla Russia, una delle condizioni che aveva messo il governo nel decreto golden power per dare il via libera alle nozze con Bpm. La banca italiana a Mosca ha al momento 700 milioni di crediti e 900 milioni di depositi. «Noi adesso abbiamo 3,5-3,7 miliardi di capitale in Russia», ha affermato Orcel. «La domanda che mi fanno spesso è ma perché non butti le chiavi e chiudi tutto? Potrei farlo, ma chi ne beneficia? Il Paese che non vogliamo aiutare. Perché devo regalare oltre 3 miliardi e mezzo?», si chiede il banchiere che osserva come il Cremlino potrebbe nazionalizzare gli asset di Unicredit. L'uscita da Mosca è stata l'ostacolo principale al completamento della scalata al Banco Bpm. «Per noi è un capitolo chiuso» visto che, dopo «il ritiro della nostra offerta», «l'azionariato è cambiato ed esiste un azionista (Credit Agricole con il 20% circa ndr) che, de facto, ha il controllo relativo del gruppo». Quest'ultimo passaggio è implicitamente una staffilata al governo, dal momento che l'Agricole è una banca francese mentre Unicredit rivendica la sua italianità con i ricavi realizzati nel nostro Paese che pesano per il 40% del totale. «Con questa situazione l'operazione non è più attraente» ha aggiunto, sottolineando come al momento dell'offerta «noi avevamo stoppato la nostra crescita organica che, da luglio, abbiamo ripreso».
Tuttavia, Orcel non ha del tutto accantonato l'idea di espandersi in Italia: «Se ci fosse una possibilità» di fare un'acquisizione «la faremmo» e anche per questo «abbiamo presentato il ricorso al Consiglio di Stato». Il ragionamento che fa Orcel insieme al suo team legale è che se il Consiglio di Stato smontasse il decreto golden power, allora in futuro Unicredit potrebbe riprovare a fare altre operazioni evitando applicazioni indigeste della normativa golden power. «Respingiamo formalmente l'affermazione secondo la quale potremmo rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale del nostro Paese», frase quest'ultima probabilmente diretta al ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, che in sede europea ha difeso l'uso del golden power proprio in ragione della sicurezza nazionale, di esclusiva competenza dei Paesi membri.
«Quella di Unicredit è una storia di successo italiana», rivendica poi il banchiere. «Sono italiano, ne vado orgoglioso, e so con certezza che lo sarò sempre. Ho sempre vissuto la mia italianità come una chiave di successo». E poi: «Unicredit detiene circa 40 miliardi in titoli di Stato italiani, più di qualunque altra banca». Tuttavia, il legame con il Paese «non può diventare un limite» ed è per questo che l'istituto guarda anche all'espansione oltre i confini con il tentativo di scalata sulla tedesca Commerzbank. Anche se Unicredit «non sposterebbe la sede in Germania se andasse in porto un'aggregazione».
Il discorso è filato via sulla questione Generali, dove Piazza Gae Aulenti ha tuttora una partecipazione. Abbiamo «fatto un investimento che abbiamo chiamato finanziario, siamo arrivati fino al 6,7%.
Poi ci siamo detti che la società è una buona società e c'era anche interesse, data la collaborazione con altri nostri partner, per esempio nell'asset management, quindi potevamo vedere delle situazioni nella quale potevamo cooperare con loro». Tuttavia, per cooperare con il Leone non c'era bisogno di una quota quindi «la nostra partecipazione netta in Generali è scesa a circa il 2% e al momento rimane lì, osserviamo la situazione».