Milano - In quattro, con le pettorine della Guardia di finanza. Accento campano, volto scoperto, buone maniere. E bottino iperbolico. Un'ora in tutto di lavoro, nel cuore della Milano storica, dentro la prestigiosa boutique del gioiello, che confeziona capolavori per sceicchi, attrici e principesse.
Non uno schiaffo, non una goccia di sangue. Nessun bambino terrorizzato, nessuna moglie insidiata, nessun padrone di casa preso a calci e incerottato. Abituati come siamo alla bassa macelleria di quest'ultima epoca criminale, c'è quasi da levarsi in piedi per una standing ovation. Chiaro che non si fa. Chiaro che non si può applaudire una rapina. Ma la tentazione è forte. Dicono gli investigatori che tutto è ancora da chiarire, anche se si sentono di azzardare che il «rififì» in Casa Damiani sia opera di professionisti. Ma va... ? Senza essere il tenente Colombo, difficile pensare a una banda di Peppini e Totò, o ai soliti ignoti di Gassman. Da un punto di vista freddamente analitico, il colpo portato a termine ha una sola definizione: capolavoro. Per prenderli, ne servirà un altro.
Griffe dell'alta gioielleria, rapina grandi firme. Ricostruire le fasi dell'impresa è come rivedersi un classico dei film d'azione. Ripensandoci adesso, gli inquilini del civico 80 di corso Magenta, addossato all'82 della Maison Damiani, si sentono in grado di affermare che i lavori di preparazione risalgono persino a Natale. È da allora che diversi di loro segnalano al custode sinistri rumori, come di trapano e di martello, anche nel cuore della notte. D'accordo che lì a fianco stanno ristrutturando un condominio, ma il traffico notturno risulta comunque un po' inconsueto. Il portiere, che raccoglie le segnalazioni, consiglia a tutti di controllare bene i propri appartamenti, perché non ci siano in giro strani buchi o nuove fessure. È l'unica cosa da fare.
Eppure niente risulta. Niente può risultare, perché i lavori in corso, quelli scopo rapina, sono concentrati nell'angolo più defilato dello stabile. Dentro una cantina. Il locale non ha serratura: il suo proprietario, un professionista sessantenne, non lo usa da anni. Ci lascia solo un paio di vecchi televisori e cianfrusaglie da smaltire. Dettaglio non trascurabile, anzi decisivo: ultimamente l'uomo è in giro per il mondo. Il rischio che possa entrare in cantina è pari a zero. La banda evidentemente lo sa, tant'è vero che per settimane esercita alacremente la sua suprema missione: scavare un varco, togliendo un mattone alla volta, verso l'attigua Casa Damiani. Sarà banale, ma è a pieno titolo una banda del buco.
Siamo ormai all'ora X. Dopo rapido ripasso delle parti, come possiamo immaginare rammentando quella dozzina di titoli sui colpi del secolo, i quattro entrano in azione. Alle volte, le combinazioni: l'assalto è fissato per la domenica di un importante incontro-presentazione, con un sacco di ottimo materiale preparato per la stimata clientela nel caveau sociale. Prima che l'evento pubblico abbia inizio, loro si muovono.
Sono le ore 8.30: come ratti da bassofondo, eccoli passare attraverso il buco della cantina e presentarsi nel cuore della celebre gioielleria. Non hanno armi. Lavorano di fino. All'interno, un cameriere, un cliente, tre impiegati e il direttore. Senza ammettere discussioni, i farabutti d'alto bordo si fanno accompagnare dal personale verso il caveau. Non è un impegno massacrante: i grandi gioielli non ingombrano come i lingotti. Sono più pratici. La banda passa all'incasso con un certo garbo, evitando nervosismi e frenesie. Poi, dopo aver isolato gli ostaggi, se ne va da dov'era venuta, passando per la cantina, così da evitare antipatiche inquadrature nelle telecamere di sicurezza.
Quanto, l'incasso? Difficile dire. Più che altro, difficile sapere. L'inventario non è mai operazione rapida. Ovviamente, si parla di milioni. Molti milioni. C'è però una consolante certezza: tutti i pezzi risultano adeguatamente assicurati presso le grandi società del ramo. È la stessa Casa Damiani a precisarlo subito, come si conviene a un'azienda quotata in Borsa che il mattino dopo deve affrontare la riapertura dei listini.
Mentre tutto questo accade, viene facile immaginare i quattro della banda già in volo verso una remota spiaggia caraibica. Solitamente l'ultima scena dei film li ritrae sotto una palma, stravaccati dentro un'amaca, placidamente sospinti da fatalone ovviamente disinteressate. Questa, però, è sceneggiatura taglio hollywoodiano. Nella realtà, non sarà così elementare. Girare il mondo con un carico di pezzi firmati Damiani risulta effettivamente un po' impegnativo. È materiale che scotta, non si cambia dal primo ricettatore in autogrill.
Più facile pensare i quattro topi di cantina rintanati da qualche parte, magari nemmeno tanto lontano, mentre nascondono il bottino e aspettano che si raffreddi. Magari già preparandosi alla prossima impresa, sempre con la stessa griffe di qualità: senza un'arma, senza torcere un capello a nessuno.
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