Girava sul web la solita nota sui privilegi dei parlamentari, all’urlo di: «Aboliamoli con referendum», con postilla: «Queste informazioni possono essere lette solo su Internet, quasi tutti i mass-media rifiutano di diffonderle». Lui, che invece aveva appena letto sui giornali altri attacchi alla casta, ha postato la nota su Facebook, così: «È una bufala. I privilegi ci sono ma inventarne di nuovi non è utile. Chi vuole sapere mi chieda. Sono un senatore». È finita con una rissa che va avanti da giorni, chi la dura la vince. Cuor di peone, Franco Orsi. In Parlamento c’è arrivato col Pdl nel 2008, dal 2009 è primo cittadino di Albisola. Prima s’è visto decurtare la diaria di 12mila euro, poi ha rinunciato all’indennità di sindaco, adesso s’è visto applicare la supertassa del 10 per cento sui redditi oltre i 90mila euro che invece il resto del Paese ha evitato. E poi è entrato al ristorante di palazzo Madama. È stato allora che ha iniziato a fare i conti della serva al Senato.
Pronto, senatore? «Voi giornalisti non aspettate altro che farci passare per scemi, lasci perdere». Ma quei conti... «Senta, la premessa è che siamo dei privilegiati, lo so». Ecco, allora... «Allora chiediamoci dove finiscono i soldi».
Il calcolo è presto fatto. Per il 2011 il bilancio del Senato è di 587mila euro. La spesa per i senatori, fra indennità e diaria, è di 70,6 milioni, 20 dei quali tornano allo Stato con l’Irpef. I vitalizi si portano via altri 79,2 milioni. «Fanno 149,8 milioni. Per arrivare a 587 ne mancano 437,2». È la voce «costo del personale» la più alta in assoluto: 140 milioni per quello in servizio, 97 per le quiescenze. Fanno la bellezza di 237 milioni. Vai a vedere che adesso la vera casta sono impiegati, funzionari e commessi. «Nemmeno per sogno. Però forse sarà il caso di dirlo, che lo stipendio medio lordo del personale è di 146mila euro. Giusto, sono professionisti qualificati. Ma è più di quello dei senatori». Il punto, s’inalbera, è ancora un altro. «Le racconto una cosa piccola, che però rende l’idea. Ogni volta che vado in commissione trovo un termos di caffè. Fa schifo, sono tre caffè allungati. Ma va bene, è gratis e io sono un privilegiato». Bene, poi? «Io voglio sapere quanto costa quel servizio. Perché se costasse, chessò, 6 euro, me ne danno 2 e io il caffè me lo faccio portare. Oppure non mi danno niente e me lo pago». Un buon espresso, magari. Morale? «Si caricano sui senatori alcuni servizi sui quali si potrebbe risparmiare».
Diceva del ristorante. «Costava 11 euro. Ora hanno introdotto quelli che chiamano prezzi di mercato. Peccato che io 38-40 euro non li spendo nemmeno da Piperno o da Fortunato». Un primo fra i 6 e i 15 euro, pesce e carne oltre i 24. «In quale mensa aziendale si spende così tanto?». Ma voi avete stipendi diversi da chi frequenta le mense aziendali. «Vero. Ma il ristorante interno costa al Senato un milione e 130mila euro all’anno, in aggiunta a quello che spendiamo noi. Più 40mila euro all’anno di posate e stoviglie...». E che ci fanno coi piatti? «Eh, boh. Più l’affitto e il gas e la luce e la spazzatura che la ditta che gestisce la ristorazione non paga». Forse pagano tanto i camerieri? «A quanto mi risulta non più di mille euro al mese». Ricapitolando: «Chiudano il ristorante e mi diano 20 euro, o un ticket da 9 come agli impiegati pubblici, e io vado al bar di fronte». Senza contare che per i dipendenti, il servizio è differente e costa un milione e 190mila euro.
Per non dire dell’ormai famigerato barbiere. Comodo, farsi barba e capelli prima di entrare in Aula. «Ma se spendo 18 euro come dal mio barbiere ad Albisola, allora vado ad Albisola, se il barbiere interno costa al Senato 180mila euro». Vale anche per gli uffici. Una ventina di senatori era rimasta senza. Gli davano un contributo di 1.400 euro al mese per pagarsene uno. Poi hanno ristrutturato palazzo Capranica. «Quanto è costato? E gli arredi? E l’affitto quanto costa? Non è che si risparmiava lasciando le cose come stavano?». Alla voce «canoni e locazioni» c’è scritto 9 milioni. Vai a sapere.
C’è pure quella storia della banca. Erano i primi d’agosto quando il senatore Idv Elio Lannutti, storico leader di Adusbef, fece un teatro in Aula seguito in modo bipartisan dai colleghi perché la filiale interna della Bnl aveva applicato a lorsignori onorevoli la stessa «modifica unilaterale del contratto» imposta ai comuni correntisti, dai 3 euro di commissione sul prelievo di contante allo sportello fino a 2mila euro, ai 4,50 sui bonifici. Contro le «condizioni capestro» era stato subito firmato un ordine del giorno che impegnava il Senato a ridefinire l’accordo con la Bnl. «Lo so che pare una rivolta di casta - spiega Orsi - ma al Senato la Bnl non paga affitto, e il Bancoposta fa condizioni migliori. E infatti il giorno dopo la Bnl ha cambiato le condizioni».
Che si fa? Dice Lucio Malan, segretario della presidenza del Senato, che un’organizzazione migliore è possibile, «forse nell’era del computer 962 dipendenti sono tantini». Solo che, ride, anche se vanno in pensione «poi si ostinano a morire con parsimonia. Dovrebbero morire prima. Ma magari lo stabiliremo per legge nella prossima finanziaria...»
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