Dalla ridotta di RaiTre, dove lo scontro interno al Pd paralizza le nomine, alla Puglia martoriata dalle inchieste è tutto un campo di battaglia, dentro al principale partito di opposizione. E per la prima volta la battaglia non è solo cruenta ma anche esplicita.
Incredibile ma vero, le due squadre in campo - quella di Bersani e quella di Franceschini, l’outsider Marino se ne guarda bene - stanno commissionando persino sondaggi per conoscere il proprio posizionamento congressuale. E ieri dal quartier generale di Franceschini lasciavano trapelare indiscrezioni velenose: «Dario è in vantaggio in tutto il centro-nord, comprese le regioni rosse. Al Sud, dove il voto è molto meno libero, è in testa Bersani». Ora sta scendendo in campo anche l’esercito dei candidati segretari regionali, che verranno votati in abbinamento ai candidati nazionali, e i focolai di scontro si estendono a tutta la penisola: i supporter di Bersani attaccano i nomi proposti da Franceschini perché non rispettano la regola della incompatibilità tra cariche elettive e politiche: «Sarebbero segretari del weekend», tuona il dalemiano Gianni Pittella, «Dario ha candidato ben sei parlamentari italiani ed europei che non avranno il tempo di occuparsi di radicare il partito nel territorio». Tra i parlamentari-candidati, per la mozione Franceschini, spiccano i nomi di Cofferati (in Liguria), di Damiano (Piemonte), Serracchiani (Friuli) e Morassut (Lazio).
Gli avversari rispondono a muso duro: «Se qualcuno pensa di aiutare il partito radicalizzando lo scontro trasmette solo un pericoloso messaggio di divisione e crea le premesse per l’insuccesso alle regionali», dice l’ex ppi Merlo. E la fassiniana Sereni, schierata con Franceschini, insinua: «Evidentemente la qualità dei nostri candidati preoccupa Bersani».
In Puglia, crocevia di molte e diverse partite per il Pd, la situazione è particolarmente complicata. La partita giudiziaria è soltanto iniziata, e nessuno si sente di escludere ulteriori sviluppi. E il sistema di potere dalemiano, che è quello che conta nel tacco d’Italia, non dorme sonni tranquilli. Ma intanto ha dichiarato guerra al sindaco appena rieletto di Bari, Michele Emiliano, che proprio D’Alema aveva fatto debuttare in politica. «È un pericoloso giustizialista, e si è messo in testa di usare la Puglia per lanciare un’Opa sul Pd nazionale. Magari passando per le regionali dell’anno prossimo: adesso appoggia Vendola, ma all’ultimo potrebbe scendere in campo lui», spiegano i nemici. Che non escludono il sospetto che ci sia lo «zampino» del sindaco ex-magistrato nella tempesta giudiziaria. Emiliano, con l’appoggio di Fassino, Franceschini e Marino, si era proposto come segretario «unitario» per il Pd regionale. I dalemiani lo hanno stoppato, e il leader in persona è sceso in Puglia per tirare fuori il suo coniglio dal cilindro: la candidatura di Sergio Blasi, segretario provinciale leccese e sindaco di Melpignano, ideatore della famosa «notte della Taranta», politico «estraneo» all’establishment, come lo stesso D’Alema ha tenuto a sottolineare, ma molto popolare. E capace di insidiare l’appeal di Emiliano. Ma è la guida della Regione la vera posta in gioco: tra un anno si vota, Franceschini ed Emiliano sostengono l’uscente Nichi Vendola. Ma D’Alema sulla Puglia ha chiuso un accordo con l’Udc di Pier Ferdinando Casini, che del presidente ex Rifondazione e gay dichiarato non vuol sentir parlare.
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