Roma«Milioni, sì... Milioni di calci in culo...», si sfoga un pezzo grosso del Pdl romano nei confronti dellautore del pasticciaccio brutto delle liste. Ma lui, Alfredo Milioni, ex autista Atac, ex socialista, ex Forza Italia, ora pidiellino presidente del XIX Municipio di Roma, è solo un pesce piccolo del composito acquario del centrodestra capitolino, che oggi appare sempre più uno stagno.
Una sorta di palude dove, tuttavia, le acque sono agitate dalle solite correnti. E che correnti: gruppi di potere, alleanze, cordate, lobby. Perché, al di là del pastrocchio combinato dal delegato Pdl che sabato mattina ha ritardato la consegna della lista Polverini, provocandone lesclusione, qui il partito sembra un mare in tempesta. Così come a livello nazionale ex aennini ed ex forzisti faticano a nuotare nella stessa direzione, nel Lazio emergono i medesimi attriti, le analoghe incomprensioni, le stesse ripicche. Con una peculiarità: qui i rapporti di forza sono invertiti a tutto vantaggio degli uomini provenienti da via della Scrofa.
A Roma, città dei ministeri e del pubblico impiego, la Fiamma statalista è sempre stata alta: forte di una presenza capillare sul territorio con circoli e sezioni e le immancabili tribù, travasate nel più ampio contenitore pidiellino. «Il Pdl romano oggi è un feudo degli ex aennini, gestito da ras che si spartiscono tutto in base alle loro anime», lamenta un ex azzurro locale. Quattro le principali correnti in campo, solitamente in grado di far fronte comune contro i postforzisti dopo essersi scannati tra loro, e tutti provenienti dalla destra sociale. La prima, potentissima, fa capo al sindaco Gianni Alemanno: il «federale» o «Lupomanno», spessore nazionale, valanga di consensi tra lelettorato cattolico e popolare. Poi la corrente che fa capo al senatore Andrea Augello, giusto ieri nominato sottosegretario alla Pubblica amministrazione: finiano, ex sindacalista Ugl, abilissimo uomo macchina con ottime entrature nella Roma alto borghese e pariolina. In molti lo dipingono sponsor di Massimo Tabacchiera, ex presidente di Federlazio e oggi potente presidente e amministratore delegato di Roma servizi per la mobilità che gestisce il trasporto pubblico cittadino ma non solo e per questo trait dunion tra Palazzo e imprenditoria. Quindi le truppe di Fabio Rampelli, ex coordinatore regionale di An, ex delfino di Storace, capo indiscusso dei cosiddetti «gabbiani» ora mutati in «farfalle» per non confondersi con lIdv, cresciuto a pane e politica nella sezione di Colle Oppio spalla a spalla con la giovane ministra Giorgia Meloni. Eccoli i generali romani, capaci di cannibalizzare il partito e decidere su nomi, liste, nomine, poi ratificate dai coordinatori regionali Vincenzo Piso (ex An) e Alfredo Pallone (ex Fi) e dai coordinatori cittadini Gianfranco Sammarco (ex Fi) e Luca Malcotti (ex An), fresco dimissionario perché candidato. Un posto a te e uno a me secondo il manuale Cencelli? «Magari fosse così - sospira un pidiellino ex azzurro -: gli aennini si spartiscono tutto; su dieci posti che contano se ne distribuiscono tre a testa e il decimo lo lasciano a noi».
Già. Noi chi? Tra gli ex di Forza Italia luomo forte è senza dubbio Gianfranco Sammarco, deputato, cognato di Previti, coordinatore romano, sostituto dellonorevole Francesco Giro, altro pezzo grosso capitolino che, da sottosegretario ai Beni culturali, con i vincoli sta dando non pochi grattacapi proprio al sindaco Alemanno. Gli ex An, fuori dai denti, accusano Sammarco: «Milioni è un suo uomo»; gli ex Fi ribattono: «Macché, la colpa del caos è di Vincenzo Piso, il coordinatore in quota Alemanno». Ma molti della stessa scuderia arricciano il naso anche su Sammarco: «Gli aennini riescono a far quadrato, a fare sintesi tra loro. Noi no». In pratica è la solita storia dei due elementi che non riescono ad amalgamarsi: da una parte il colonnellume e il correntismo di An, dallaltra il verticismo e il leaderismo di Forza Italia. Le altre colonne azzurre sono Antonio Tajani, oggi vicepresidente della Commissione europea e commissario per lIndustria, fondatore di Forza Italia ed ex coordinatore laziale, e la famiglia De Lillo che vanta appoggi nella Roma bene ma soprattutto un buon radicamento sul territorio. Una Dynasty politica la loro: Stefano è senatore, il fratello Fabio assessore comunale allAmbiente, il terzo, Giuseppe, è nel listino della Polverini.
Curioso che entrambe le componenti, seppur col terrore di far esplodere un «partito che ancora non cè», concordino sia sullanalisi di cosa non va sia sulla necessaria medicina: «Manca collegialità», dicono i berlusconiani. «Manca il coordinamento», ribattono gli aennini. Ma il duello continua.
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