C’è un grafico che racconta più di tutti cosa sia diventata la pallacanestro, soprattutto in Nba: mostra i punti di partenza dei tiri verso il canestro, e tra l’inizio della lunetta dei tiri liberi fino alla zona sotto il tabellone c’è il vuoto. Nulla, nessuno ci prova più in quella terra di mezzo. Mentre nel contempo, fuori dalla linea dei tre punti è il trionfo del tiro a segno. E allora: è ancora basket?
Per carità: lo sport ormai dev’essere spettacolo, ma forse si sta esagerando un pochino. Ci si esalta per le triple come per le schiacciate, ma se uno prova a centrare il canestro da mezza distanza, il pubblico quasi resta deluso. Come dire: “Solo quella roba lì?”. Così ecco che uno dei più grandi eroi dell’era moderna è diventato Stephen Curry, la stella dei Golden State Warriors che in tutti questi ha sublimato lo show del tiro da tre punti. In qualsiasi modo, dal qualsiasi punto, lui ci ha sempre provato, “da casa sua” han sempre detto, con azioni fulminanti e centrando l’obbiettivo dei modi più fantasiosi possibili. Altro che schemi, è il trionfo del corri e tira.
Gli appassionati del “gioco più bello del mondo” (lo ha deciso sempre l’Nba) ci scuseranno: probabilmente troveranno queste parole fuori luogo. Ma noi che siamo cresciuti con Meneghin, Morse, Riva, Sacchetti e Bariviera - gente così, in pratica - e con le meravigliose furbate di D’Antoni o con la difesa di Vittorio Gallinari a cui i compagni, a fine carriera, servirono il pallone perché almeno una volta facesse canestro da dietro l’arco magico (spoiler: l’ha fatto), a vedere l’eccezionale diventare normale non ci rassegniamo. Se tirare da tre è un’abitudine, allora sai che sbadiglio.
Per cui non ci siamo neppure emozionati per il ritorno di Curry, questa settimana, dopo un infortunio: Steph, prima ancora del riscaldamento prematch contro Minnesota, ha fatto capolino dal tunnel degli spogliatoi, ha guardato per un po’ il canestro dall’altra parte del palazzo, poi ha gettato la palla come fosse una catapulta, ciuffando al millimetro dentro la retina. Trenta metri di tiro, che una volta sarebbero stati la misura di un marziano del basket. Il problema è che oggi, però, lo fanno in tanti. E che forse non è più neanche tanto pallacanestro.