Politica

«Basta governare a colpi di fiducia»

Laura Cesaretti

da Roma

Incassata l’ultima fiducia, Prodi e la sua Unione vanno in vacanza, ma già pensando all’autunno che arriva e ai problemi che porrà. La Finanziaria, certo, ma a dicembre si riaprirà anche il tormentone Afghanistan. E prima o poi si porrà una questione ancor più spinosa e potenzialmente esplosiva, quella della missione in Libano.
«Andare avanti a colpi di fiducia e con due voti di margine è impossibile», ripetono a ogni angolo del centrosinistra. Il Professore ha in programma di partire già venerdì per l’Appennino, poi farà un po’ di mare a Castiglioncello con l’amico Andrea Papini, deputato della Margherita. Il quale il suo ragionamento al premier lo ha già fatto: «Devi essere tu, a nome di tutta l’Unione, ad aprire un tavolo di dialogo con la Cdl per vedere quali sono le scelte che si possono fare insieme, a partire dal nostro programma ma senza rigidità». Non puntare insomma su discutibili e forse velleitarie campagne acquisti tra i senatori Cdl, ma inaugurare una stagione di scelte bipartisan, pilotate da Palazzo Chigi. Perché «non possiamo continuare a ragionare come se avessimo vinto nel modo in cui pensavamo di vincere: il risultato è stato diverso». Insomma, andare avanti con l’illusione dell’autosufficienza porta al rischio di inciampare e cadere, è il ragionamento di Papini e di diversi altri, e se succede sarà qualcun’altro a tendere la mano a Berlusconi. Niente nomi, ma il pensiero va a D’Alema, a Marini, a Rutelli che Berlusconi lo ha anche invitato alla Festa della Margherita e che - sottolineano i sospettosi - «ha piazzato il suo uomo più intelligente e abile, Gentiloni, in una postazione strategica per i rapporti con il Cavaliere», le Comunicazioni. E ieri il leader di Forza Italia, tutto allegro, è andato in aula a ringraziare per l’invito l’ambasciatore rutelliano Lusetti, e a garantirgli: «Ci sarò».
Ma il Professore da quell’orecchio non ci sente, e ha respinto la proposta di dialogo al mittente: «Non se ne parla nemmeno». Chi lo conosce nota: «Per Prodi cercare l’intesa con Berlusconi sarebbe un’ammissione di debolezza, il riconoscimento di non aver vinto davvero le elezioni. Non lo farà mai. E poi Romano è abituato a prendere atto dei problemi solo quando se li trova addosso. Il rischio è che allora sia troppo tardi».
Nel frattempo, il premier continua ad essere senza partito: il Partito democratico è in stallo, frenato dai ds. I prodiani della Margherita sono scomparsi: Parisi fa il ministro, gli altri marciano in ordine sparso e nel sotterraneo braccio di ferro ordito tra cene e controcene tra Rutelli e Marini (che vorrebbe commissariare il leader, impegnato al governo, ma difficilmente ci riuscirà) non hanno ruolo.

E l’autunno incombe.

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