«Basta politici nei programmi leggeri: lì c’è la vera occupazione della sinistra»

Landolfi, presidente della commissione di Vigilanza: «Ho scritto al dg Cappon per chiedere controlli più severi»

da Roma

«Basta ai politici nei programmi d’intrattenimento». Il presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai, Mario Landolfi, è convinto che le «vere lesioni del pluralismo» avvengono più nelle trasmissioni cosiddette leggere che nei telegiornali o negli appuntamenti di approfondimento d’attualità e politica. E ha scritto al direttore generale della Rai, Claudio Cappon, per chiedere controlli più severi.
Perché dice questo, onorevole Landolfi?
«Abbiamo fatto dei calcoli su questo tipo di programmi definiti come “altro” (il 20 per cento del totale) e abbiamo rilevato che nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2006 le presenze di esponenti della maggioranza e del governo sono di gran lunga superiori a quelle totalizzate nelle stesse trasmissioni e nello stesso periodo dello scorso anno dagli esponenti della maggioranza e del governo Berlusconi. Diciamo che se prima lo spazio era grossomodo del 55 per cento ora è del 75. Nei programmi di rete, cosiddetti leggeri, sono dunque più facili le violazioni del pluralismo».
E allora che cosa ha chiesto a Cappon?
«Di dare spiegazioni su quanto avviene e di garantire il rispetto di un indirizzo approvato nel 2003, quando al mio posto c’era l’attuale presidente della Rai, Claudio Petruccioli. I politici possono anche partecipare a queste trasmissioni, ma solo se lo giustificano le loro precise competenze e sempre nel rispetto del contraddittorio. Non possono diventare personaggi di spettacolo: lo dico nell’interesse dello spettacolo e anche della politica».
Lei è convinto che le trasmissioni d’intrattenimento abbiano maggiore impatto sul pubblico?
«Proprio così. Nei tg, certo, si può giocare sulla gerarchia delle notizie, dando più o meno risalto ad un fatto in base alla convenienza politica. Ma quando i telespettatori guardano un telegiornale o un programma politico sono più attenti e critici, mentre i messaggi politici che passanmo attraverso le trasmissioni leggere li sorprendono e sono per questo più efficaci. Ecco perchè dico che il vero pluralismo si vede proprio in questo settore».
Vuol dire che la maggiore presenza politica nelle trasmissioni leggere caratterizza la Rai dell’Unione?
«Se la definiamo così, quelli dell’Unione si arrabbiano perché sostengono invece che la maggioranza della Rai è ancora nelle mani del centrodestra. Non è così e comunque la tv pubblica deve essere nelle mani dei cittadini che pagano il canone e quest’anno se lo vedono ritoccato, mentre con il governo precedente questo si era evitato. C’è un consiglio d’amministrazione, formato di nove membri, in cui le decisioni vengono prese a volte all’unanimità, a volte a maggioranza, più o meno variabile. Le scelte vanno fatte in ossequio alle logiche aziendali, non alle logiche di bottega o di partito. E sbaglia la sinistra a sostenere che il cda sia una sorta di retaggio del governo Berlusconi. Lo dimostrano proprio certe trasmissioni di largo ascolto non-politiche».
Lei ha anche lanciato un appello per la televisione di qualità a Rai e Mediaset, che effetti ha avuto?
«C’è stata una buona eco e io mi sono fatto portavoce di un’esigenza fortemente sentita dai cittadini, come vedo anche dalle tante lettere che ricevo. La televisione deve rinnovarsi, puntando su qualità, innovazione, sperimentazione, nuovi autori. Può e deve farlo ora che c’è la legge Gasparri che, contrariamente a quanto è stato detto dall’Unione, non la schiaccia ma ne aiuta lo sviluppo».


Quali altre richiestre ha fatto come presidente della Commissione?
«Ho fatto la richiesta per il rispetto delle fasce orarie di programmazione, che è tutela dei minori ma non solo. Dall’11 dicembre la prima serata comincia in orario e questo è anche merito di quell’appello. E poi c’è la durata eccessiva dei contenitori domenicali, dei reality show che non possono essere così invadenti...».

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