La Bce ai governi: «Il patto fiscale va firmato in fretta»

Questa volta, Mario Draghi ha tenuto il colpo in canna. Dopo i due tagli consecutivi dei tassi, a novembre e a dicembre, ieri la Bce è rimasta ferma, nonostante - parole del presidente dell’Eurotower - lo scenario economico rimanga caratterizzato da «elevata incertezza», con «sostanziali rischi al ribasso». Decisione unanime, quella di lasciare invariato all’1% il costo del denaro. Rimandando a febbraio, «se sarà necessario», l’alleggerimento monetario. Il board si è quindi ricompattato, sanando lo «strappo» del meeting precedente provocato dall’adozione di alcune misure straordinarie anti-crisi. In particolare, quella sulle «aste a rubinetto» con cui l’Istituto centrale ha messo nelle mani delle banche 500 miliardi di euro quasi regalando i prestiti. «Abbiamo prevenuto una contrazione del credito che sarebbe stata molto seria», spiega Draghi. Quattrini destinati a scongiurare, appunto, il cosiddetto credit crunch, ma che in parte sono stati dirottati ieri verso i Bot e i Bonos spagnoli, decretando il successo dei collocamenti. La marcata differenza tra il tasso praticato dalla Bce (identico a quello di riferimento) e i rendimenti dei bond ha infatti permesso un guadagno facile-facile.
Ma se l’Italia non avesse cominciato a fare i compiti a casa, il contributo di Francoforte non sarebbe probabilmente bastato ad alleggerire l’insostenibile pesantezza degli interessi pagati dal Tesoro, né a riportare lo spread Btp-bund a 480 punti dai 520 di ieri mattina. «Alcuni Paesi che sono in difficoltà hanno intrapreso dei notevoli progressi nel risanamento dei conti pubblici e i mercati mostrano un certo entusiasmo e questo è incoraggiante», riconosce Draghi. Che poi si fa ancora più esplicito: «I mercati stanno apprezzando ciò che sta accadendo in Italia», aggiunge. Prova ne è la corsa di ieri in solitaria di Piazza Affari, che ha chiuso in rialzo di oltre il 2%, mentre le altre Borse europee hanno mostrato un andamento piatto.
Ora, però, il governo deve andare avanti. Puntando soprattutto in una direzione: il mercato del lavoro. Draghi non nomina l’articolo 18, ma avverte che è necessario cancellare le rigidità del mercato del lavoro e rendere più flessibili i salari. «Le riforme strutturali devono essere fatte, per favorire la crescita economica e creare posti di lavoro». Un percorso ineludibile in uno scenario ancora condizionato dalla crisi del debito sovrano. Ecco così il richiamo di Draghi a varare «entro gennaio» e «senza ambiguità sulle regole», il nuovo Trattato fiscale europeo, nonché a rafforzare i due paracadute anti-crisi, il fondo salva-Stati Efsf e l’Esm. Due nodi fondamentali che, se sciolti, potrebbero agevolare il mese prossimo un nuovo taglio dei tassi.
Draghi mette insomma i governi sull’avviso. Consapevole di aver già fatto la propria parte: i prestiti concessi «stanno fornendo un sostanziale contributo a migliorare la situazione di finanziamento delle banche» europee. Quelle italiane sono, però, alle prese con gli aumenti di capitali imposti dall’Eba, l’Autorità bancaria Ue.

Un esercizio «giusto», ma deciso in un momento diverso da quello attuale che ha finito per «ampliare le difficoltà degli istituti. Credo che in futuro - conclude il leader della Bce - questo esercizio verrà ripetuto sulla base di premesse diverse». L’Abi sarà soddisfatta.

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