
La Commissione europea gestisce a distanza gli aiuti umanitari attraverso i propri partner in zone difficilmente accessibili per problemi di sicurezza o restrizioni imposte dalle autorità locali. Ma questo approccio è efficace per erogare aiuti in circostanze particolarmente difficili? E i rischi sono affrontati in modo adeguato? Sono le domande che si è posta la Corte dei Conti europea il cui compito è fare da cane da guardia a come viene speso il budget della Ue, ovvero il denaro dei contribuenti europei. Ebbene, secondo la relazione della Corte i rischi specifici associati agli aiuti umanitari di Bruxelles gestiti a distanza "non sono affrontati in modo soddisfacente" e ci sono carenze che gli auditor di Lussemburgo raccomandano di colmare. Quali? Si parte da problematiche specifiche, tra cui "valutazioni inesatte delle esigenze basate su informazioni non verificate, inattendibili o distorte, oppure un coordinamento inadeguato e una ridotta qualità operativa a scapito dell'efficacia degli aiuti". Vengono evidenziati "notevoli rischi per la sicurezza e rischi di frode o di dirottamento degli aiuti, con i conseguenti rischi reputazionali". Sono state poi riscontrate altre debolezze: la definizione di gestione a distanza è "poco chiara e obsoleta". È possibile, quindi, che alcune situazioni gestite a distanza non vengano debitamente segnalate come tali, il che può incidere sul monitoraggio e sulla rendicontazione delle azioni finanziate dalla Ue.
Non solo. Per i partner esecutivi delle organizzazioni non governative (Ong) finanziate dall'Ue, si legge nella relazione, non viene certificata la capacità di dare esecuzione ai fondi europei in linea con i princìpi e le norme dell'Unione in materia di aiuti umanitari. "Il processo di certificazione dovrebbe verificare la capacità delle Ong di sorvegliare adeguatamente il modo in cui i rispettivi partner esecutivi locali conseguono gli obiettivi concordati", sostiene la Corte. Inoltre, i partner certificati con sede nella Ue scelgono spesso di attuare azioni attraverso le sedi centrali a cui fanno capo, che sono stabilite al di fuori dell'Unione. A Lussemburgo aggiungono anche che dovrebbe esserci ragionevole certezza sulla capacità tecnica e amministrativa di tali partner esecutivi incaricati di gestire i fondi di Bruxelles.
Certo, la rete di esperti sul campo della Commissione è molto utile per prendere decisioni consapevoli e monitorare le azioni finanziate. Ma nell'audit sono stati rilevati "problemi nella rendicontazione da parte dei partner per gli aiuti umanitari e alcune relazioni riguardanti la gestione a distanza erano inesatte o mancavano di informazioni". Dal momento che i partner non sono tenuti a dichiarare quali azioni vengano gestite a distanza, "i portatori di interessi non sono informati riguardo ai paesi, alle attività, ai finanziamenti, alla portata e ai risultati conseguiti nell'ambito di tale approccio". Ecco perché, secondo la Corte, la rendicontazione dovrebbe essere resa più trasparente.
Nella relazione si forniscono anche dei numeri: tra il 2019 e il 2023 la Commissione europea ha approvato 164 azioni umanitarie in regime di gestione a distanza parziale o totale in 10 paesi. Il contributo della Ue a queste azioni è ammontato a 918 milioni di euro, pari a circa l'8% della spesa umanitaria totale dell'Unione per il periodo in esame.
Gli aiuti umanitari vengono convogliati attraverso più di 200 partner che comprendono 172 Ong, 30 organizzazioni internazionali (comprese le organizzazioni delle Nazioni Unite) e 14 agenzie specializzate degli Stati membri che operano in regime di gestione diretta o indiretta.