Tramontata da tempo la dicotomia (peraltro «zoppa», visto che contrapponeva un metodo dindagine a una provenienza geografica) fra Analitici e Continentali; mai davvero sorta, bensì sperduta nella caligine dellindistinto e della melassa, la pretesa classificazione in stile linneano fra pensiero forte e pensiero debole; ridotto a un tenue frinire in lontananza il monotono verso dello psicologismo, la filosofia del XXI riscopre il gusto acre della solitudine. Il nostro mondo vive di schieramenti e di fazioni, e se non trova modo di scatenare la bagarre, il derby delle opinioni, diventa atono, al massimo parla per monosillabi. Quindi a lei, la Filosofia, conviene rivolgersi, nella ricerca di un interlocutore valido, anzi dellunico interlocutore valido, alla Poesia, la saggia e comprensiva nonna delle Idee, fra le braccia della quale è sempre possibile rifugiarsi durante i tempi grami.
Lo fece, per esempio, María Zambrano (1904-1991), con il suo pensiero che qualcuno giustamente definì «materno», permeato dal sentimento che viene a patti con la ragione, da un umanesimo ben inserito nel solco tracciato da Unamuno e Ortega y Gasset. In lei è il «sentire originario» a muovere la ricerca speculativa, e questa non trova volentieri casa sotto le rigide architetture dei sistemi, preferendo lumile ma solida dimora dellindividualismo altruista, nellameno villaggio delle coscienze. Per lei il Filosofo è Padre e il Poeta è Figlio: ma sono ruoli interscambiabili, comunque nellottica familistica e universale. La sua stessa prosa avvolgente, liquida, permeabile come terra fertile, ha il compito di allontanare la «superbia» del razionalismo, e se a tratti diviene umbratile, concentrica, tetra come luccello che vaga nella notte senza stelle, ciò avviene per un surplus di partecipazione emotiva, di istinto, appunto, materno.
I beati (riproposto da SE, pagg. 120, euro 18, a cura di Carlo Ferrucci), la sua ultima opera pubblicata in vita, lo conferma.
Il beato esilio del pensiero secondo la Zambrano
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