nostro inviato a Bologna
Non c'è un cane che sappia spiegare perché. Tutti parlano, nessuno dice niente. Resta la pesantezza di un evento imperdonabile: in una delle nostre città più ricche e opulente, in una delle piazze più famose e salottiere, proprio qui sotto l'albero di Natale alto metri e metri, una creatura di tre settimane se ne va all'altro mondo come l'ultimo dei miserabili. Ucciso dal freddo e dalla povertà. Purtroppo, non solo.
Nato poco prima di Natale assieme al gemello Kevin, Devid non è arrivato all'Epifania. Il pomeriggio del 4 gennaio il farmacista di piazza Maggiore, cuore storico e mondano di Bologna, si sente richiamare sotto i portici da alcune persone inorridite. Presto, venga, c'è un bimbo che sta male. Uscito davanti alle vetrine, trova un giovane padre sulla quarantina che tiene in braccio il fantoccio inanimato di un neonato.È Devid, tre settimane appena e già in agonia, al capolinea della sua vita breve e umiliante. Lì vicino, la mamma in lacrime con il fratellino. Il farmacista convince la famiglia ad entrare, cerca di farsi spiegare qualcosa, ma il padre dimostra di non essere lucidissimo. «Farfuglia solo che il piccolo ha mangiato - racconta il dottore - che non sa cosa diavolo stia succedendo. L'impressione è che non si renda conto. Così bello, quel bambino…».
Una corsa disperata. Mentre fuori la gente fiuta i primi saldi, l'ambulanza del 118 porta Devid all'ospedale Sant'Orsola. Ricoverato in rianimazione pediatrica, muore il giorno dopo, 5 gennaio 2011, data che resterà scritta a caratteri incancellabili e vergognosi sulla storia di Bologna.
Adesso Devid riposa dentro una piccola bara bianca, sotto una piccola lapide bianca, al cimitero della Certosa. Un funerale anonimo e defilato, per una morte che meriterebbe grida e strepiti assordanti. Ciclicamente celebriamo funerali di Stato per le vittime di qualcosa o di qualcuno: del terrorismo, della mafia, della guerra, delle calamità naturali. Anche Devid lo meriterebbe: vittima, candida e innocente, della nostra assurdità.
Davanti alle sue povere spoglie di neonato sarebbero in molti a dover chinare il capo. Certo anche suo padre e sua madre, inutile nasconderlo: lui muratore saltuario, senza una casa vera e senza un'idea accettabile dell'esistenza, lei la sua compagna, aiutata in qualche modo dai genitori, ma ugualmente perduta nella disperazione di una vita randagia. Passando da un appartamento di amici in via della Tovaglie ai portici della stazione, dall'androne della bibiloteca comunale di piazza Maggiore agli istituti assistenziali di preti e volontari, Claudia continua imperterrita e incosciente a procreare. Già negli anni passati due figli, avuti da un altro uomo, le vennero sottratti e mandati in affido. Un anno e mezzo fa nasce un'altra bambina, figlia di un altro uomo ancora. E poco prima di Natale nascono i due gemellini, figli dell'attuale compagno di sventura. Inevitabile: prima o poi, qualcosa deve succedere.
Succede che il 5 gennaio 2011 il piccolo Devid finisce in coma per una febbre altissima, proprio sotto la facciata del Comune, a dieci passi dal maestoso albero di Natale, tra le braccia di un povero farmacista che non crede ai suoi occhi. Sì, c'è molta incoscienza di un padre e di una madre allo sbando, in questa storia feroce. Ma ovviamente non è tutto. Sarebbe troppo comodo chiudere così. Invece, la lista degli adulti che dovrebbero chinare lo sguardo ai solenni funerali di Stato è molto più lunga. Stavolta le scorciatoie e le vie di fuga non sono comodissime: Devid non è figlio di rom, non è morto in una baracoppoli abusiva, ma è italiano figlio di italiani, ben noti e quotidianamente avvicinati per le vie della grande città. Il commissario di governo Anna Maria Cancellieri, che sostituisce il sindaco Delbono travolto dallo scandalo della segretaria, tiene a precisare che il papà e la mamma di Devid hanno più volte rifiutato gli aiuti. Gli operatori dei servizi sociali confermano. «Dicevano di avere una casa, di essere a posto». Persino al pranzo della Caritas, il 31 dicembre, gli operatori si erano offerti, ma la mamma appena uscita dall'ospedale aveva riposto ancora no grazie. Naturale: la coppia temeva che il giudice portasse via anche questi tre piccoli. Ma in realtà, dietro alle loro dichiarazioni rassicuranti, di sicuro non c'era niente. Soltanto l'appoggio dei genitori di lei, al quartiere di Fossolo. Nient'altro. Il sospetto, di fronte al povero Devid ucciso dalla febbre, è che abbiano dormito qualche notte all'aperto. Non a caso, la Procura ha aperto una doverosa inchiesta. Ma non è questo che conta, ovviamente. È tutto il contorno. Sono le domande pesanti e insolubili che aleggiano sulla città. Perché l'ospedale Sant'Orsola dimette i gemellini e la mamma come una famigliola qualunque, sapendo quali problemi si porti dietro la donna? Perché i primi due figli avuti dalla donna le furono subito sottratti, mentre nessuno si prenda la briga di mettere in salvo questi due gemellini? Perché i servizi sociali si lasciano sfuggire un caso così disperato? Non nascondiamoci dietro ai tagli di bilancio e alle competenze settoriali: questa è la nazione in cui ai primi freddi si corre a comprare il cappottino di cachemire per i pechinesi, non possiamo archiviare la morte di Devid con le resistenze cocciute e bugiarde di una mamma confusa. Dannazione, ci sarà il modo di salvare certi bambini da certi genitori. Non è per questo che lo Stato sociale, nella sua evoluzione etica, ha creato i servizi e le assistenze? Oppure li abbiamo creati solo per dare un lavoro sicuro a qualche neolaureato?
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