«Un bel business, ma esentasse»

Gianandrea Zagato

«È la più grande industria del divertimento milanese, esentasse naturalmente». Valutazione siglata da Carlo Fidanza, capogruppo comunale di An, che invita i milanesi a prendere esempio dai leoncavallini «per aprire un pub, un baretto o una discoteca».
Provocazione che nasce da un dato di fatto: al civico 7 di via Watteau transitano ogni anno più di 250mila persone, che nei 14mila metri quadrati dell’ex stamperia occupata dagli autonomi, pagano quello che consumano - bevande, cibo o libri - in euro e senza «mai ricevere uno straccio di scontrino fiscale» annota Roberto Alboni, capogruppo regionale di An. Come dire: per i leoncavallini la Finanziaria del Governo Prodi - quella che impone «agli esercizi commerciali e alle imprese di pagare tasse e contributi» - è solo «carta straccia». Eppure, denunciano gli esponenti di An, il Leoncavallo è un business che dura da quattordici anni: «Troppi e senza mai nessun controllo da parte della Guardia di Finanza». Già, c’è una «mensa popolare» che 365 giorni all’anno sforna pasti senza ricevuta fiscale. E lo stesso vale al baretto, dove una birra piccola costa 3,50 euro e 5 una grande.


Fotografia «arrogante e paradossale» annota An ma pure la Lega: «Evidente che il Leonka voglia esistere solo e soltanto nella forma abusiva, illegale e esentasse che conosciamo dal 1979, da quando stavano in via Casoretto e ai milanesi offrivano sabati di guerriglia nelle strade del centro». Anche allora come oggi senza mai pagare il conto.

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