Cultura e Spettacoli

Un bel lifting per Manzoni

In un periodo in cui si ritocca tutto per essere più seducenti, singolare il delicatissimo lifting all’immagine di Alessandro Manzoni. Il conte-scrittore che abitò per sessant'anni in via Gerolamo Morone 1, nel centro di Milano, cordiale non era proprio. Tantomeno spassoso o cordiale. Passionale? Eh, no, abituato com’era a controllare la sua psiche seguendo i «regolamenta» di quell'arcigno abate Luigi Tosi, timoniere dell’anima sua e di sua madre Giulia, ingessata e aristocratica in tutto e per tutto. Non a caso lui diffidava di Ugo Foscolo: lo apprezzava, ma che smorfie, noi immaginiamo, dinanzi al suo «foco», poetico e di vita. Eppure, nella penombra avvolgente ma un po’ triste di via Morone entrerà, a partire da domani, una luce discretamente più gioiosa.
La Fondazione Centro Nazionale Studi Manzoniani ha chiesto all’artista Giulio Manfredi di «arredare» le stanze manzoniane con alcune sculture, tutte ispirate ai personaggi dello scrittore lombardo. La Lucia che nella nostra immaginazione di lettori pare così incolore, è stata reinterpretata come donna passionale (forti sentimenti uniti a devozione, ma ugualmente forti): per lei lo scultore ha creato una raggiera, quella che la devota fidanzata di Renzo portava sui capelli nei giorni di festa, sempre accanto alla madre. «Lei l'amore lo conosceva» dice Manfredi «pur senza aver realizzato appieno la sua passione». E poi Gertrude, poi monaca di Monza: l'artista l'ha ammirata come ragazza spensierata e le ha «donato» una collana. Da appoggiare a un petto ancora innocentemente palpitante. Ermengarda, moglie di re Carlo e da lui ripudiata, avrà un fermaglio: gioiello di quotidianità familiare.
Jone Riva, direttrice del centro manzoniano, respinge lo stereotipo di un Manzoni severo e antipatico, o addirittura troppo neutrale dinanzi ai tumulti del cuore e della vita. Riva non scarta tuttavia l'ipotesi che l’autore dei Promessi Sposi abbia fatto calare tutta la sua passionalità nei personaggi. Segno però che il suo cuore batteva, e forte.
In occasione della mostra la casa editrice Skira pubblica un volume con testimonianze d'autore. La poetessa Vivian Lamarque scrive che per fortuna ci pensa Giulio Manfredi «a scalare le mura» delle stanze manzoniane, «a spalancare porte: aria, luce... eccolo riaprire il palazzo e il romanzo, luce del terzo millennio a risvegliare i murati, i pallidi addormentati». Marta Morazzoni s'interroga su Gertrude. E un quesito rimane nell'aria: «Era primavera quando uscì dopo anni dal convento di Monza?». La luce, ancora la luce: pure sui lineamenti di un Manzoni che, come ci ricordava Natalia Ginzburg, «soffriva di nervi».

E spesso, a giustificare un diniego, scriveva: «Fata obstant».

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