A fare un figlio sono capaci tutti (o quasi). È quando si deve scegliere il nome che cominciano i guai.
Immaginiamo che la neo mamma si chiami Ilary e il neo papà Francesco. Potete scommettere che lei insisterà per un nome stravagante, mentre lui spingerà per un nome classico. Ovviamente a vincere sarà lei. Risultato: la neonata verrà battezzata con l’«elegantissimo» nome di Chanel. Roba solo apparentemente profumata ma che, in realtà, puzza di provincialismo. Idem per l’incredibile proliferazione nel nostro Paese di Christian, Samantah (attenti a non dimenticare la «h» finale, sarebbe un peccato), Jessica, Thomas, Michael, Natasha, Swami e via esoticando.
La responsabilità dello scempio è quasi sempre di una coppia vip che - nella comprensibile aspirazione di differenziarsi dalle coppie ordinarie - non chiamerebbe mai il proprio baby con un nome banale (tipo «Fabio»), optando invece per una variante decisamente più glamour (tipo «Falco», magari preceduto da un fichissimo «Nathan»). Con la nefasta conseguenza che l’«originale» scelta onomastica finirà al 100% sulla copertina di Chi, condizionando la futura decisione delle puerpere «svip» (cioè non vip) che chiameranno «Nathan Falco» anche il loro pargoletto. Così, tanto per non sentirsi inferiore alla gente famosa...
Le nonne (sagge come sanno essere solo le nonne) tenteranno di protestare: «Ma non potevate mettergli un nome da cristiano?»; ricevendo per risposta solo un silenzio intriso di sdegnata superiorità (come a dire, «Ma cosa ne vuoi sapere tu di nomi alla moda?»). Eccola, la parola chiave: moda. In fatto di nomi ogni decennio ha la sua anagrafe della follia: oggi, ad esempio, va fortissimo Brando (per lui) e Rebecca (per lei). Li trovate belli? Boh. Certo è che i nomi sono come i figli: ogni scarrafone è bello a mamma sua. E a far cambiare l’andazzo non sarà neppure l’autorevolissimo intervento del Papa che ieri ha raccomandato ai genitori di «non dare ai propri figli nomi che non siano compresi nel martirologio cristiano». In proposito, il Papa ha citato il beato Antonio Rosmini, sottolineando che «il battezzato subisce una segreta ma potentissima operazione per la quale egli viene sollevato all’ordine soprannaturale e viene posto in comunicazione con Dio». E capirete che - se uno si chiama «Pesche» (come la figlia di Bob Geldof oppure «Mela» (come la figlia di Gwyneth Paltrow - la «comunicazione con Dio» rischia di complicarsi assai; tutto più facile, invece, se sulla carta d’identità c’è scritto «Pietro» o «Maria».
Ma, senza scomodare il Signore, basterebbe tenere sempre a mente l’appello che la povera Peaches (Pesche) Geldof, rivolse tempo addietro a tutte le celebrità del mondo: «Smettere di dare nomi ridicoli ai vostri figli». Peaches (Pesche) parla a ragion veduta: «La scelta dei miei genitori mi ha reso la vita un inferno. Il mio nome assurdo mi perseguita da quando sono nata». Piena solidarietà a Peaches (Pesche) le è stata assicurata dalle tre sorelle: Fifi Trixabelle, Pixie e Tiger Lilly; che, probabilmente, vivono il medesimo dramma...
Sul fronte italiano John Elkann e Lavinia Borromeo, per il loro secondogenito, hanno pensato bene di tuffarsi nel mare magnum dei nomi controcorrente: e così hanno fatto rotta su «Oceano». Sono i guai della modernità, potrebbe pensare qualcuno. Ma sbaglierebbe, considerato che dal passato vengono esempi tutt’altro che virtuosi. Non ci credete? Chiedete conferma - se ancora li trovate in vita - alle tante «vittime» dell’ideologia cui furono appioppati nomi come «Adua», «Fratellanza», «Idea Socialista», «Libero Ideale», «Garibaldi», «Benito» o «Partigiano».
Ben fatto.
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