La benzina fa segnare un nuovo record: ieri sfiorati gli 1,6 euro al litro per la verde. Superato il massimo del 2008. E all’automobilista basito davanti al distributore sorgono numerosi dubbi. Tutto ruota intorno al solito interrogativo: perché? Colpa di Gheddafi? Forse, ma è mai possibile che il prezzo del petrolio mondiale dipenda dai destini della Libia? E poi, a proposito del prezzo del petrolio, la memoria dell’automobilista, mentre soppesa la pompa, tende a richiamare il prezzo del carburante quando nel 2008 il barile era schizzato sopra i 140 dollari al barile, adesso siamo poco sopra i 100, ma perché il prezzo è più alto adesso e di allora? Forse è colpa del dollaro? Quanto era il cambio dollaro euro nel 2008? Ormai il pieno è fatto, mal di testa garantito, pagare e tacere. Non è la prima volta che ne parliamo, ma il prezzo della benzina è sempre una specie di segreto per iniziati: ogni volta ci si perde in una miriade di rimandi ad altri fattori: dal greggio ai costi di trasporto, dai margini di raffinazione ai margini per produttori, trasportatori e distributori fino all’onnipresente fisco. Insomma, la colpa è sempre di qualcun’altro, eppure non dovrebbe essere impossibile avere una risposta chiara: le grandissime compagnie petrolifere controllano ogni passaggio del (peraltro molto difficile) percorso del carburante dal pozzo di petrolio al serbatoio, quindi è difficile che i fattori esterni la facciano da padrone. È verissimo poi che sul costo al litro tasse e accise fanno la parte del leone, ma se non sono state aumentate (ed è così, tranne alcune addizionali “punitive” per bilanci regionali disastrati) il prelievo dovrebbe essere neutro se pur pesante. E quindi? Proviamo a mettere le cose in modo facile.
Cominciamo dal costo al barile (per comodità consideriamo attorno ai 100 dollari): si tratta del valore più noto ma non è il più importante per la determinazione del prezzo alla pompa. È espresso in dollari e quindi non sempre lo stesso prezzo corrisponde allo stesso valore in euro. Per la conversione basta dividerlo per il cambio dollaro/euro (circa 1,40 ieri) e otteniamo un valore vicino ai 71 euro. Adesso ricordiamo che il barile equivale a 159 litri e il gioco è fatto: il costo al litro partendo dal prezzo del petrolio grezzo è circa 0,45 euro al litro. Questa è però solo la testa del serpente, la coda è costituita da tasse e accise che pesano più o meno 80 centesimi al litro, in certi casi di più, come nel caso delle prima ricordate addizionali, messe da alcune regioni, inclusa la Puglia del fenomeno Vendola.
Sistemata la testa e la coda, per capire bene la lunghezza del serpente petrolifero bisogna concentrarci su quanto rimane, misurato dall’indice del petrolio raffinato Platts. Qui troviamo tutte le voci del trasporto con oleodotti e petroliere, i margini di guadagno per i petrolieri (in apparenza ragionevoli ma in realtà ben camuffati, dato che, come si diceva, spesso le stesse compagnie si occupano dei trasporti e delle altre voci di costo con società proprie) e il grosso punto di domanda della speculazione. Il mondo sta consumando più petrolio? No di certo. La Libia ha un peso determinante? Anche in questo caso no, eventuali rallentamenti di un paese esportatore possono tranquillamente essere compensati dagli altri, che sono ben lontani dalla loro produzione massima possibile. E allora? Il fatto è che puntare al rialzo del prezzo del petrolio senza aver alcun interesse a detenere fisicamente dei barili in giardino è diventato sempre più semplice: le offerte di banche ed intermediari (spesso svizzeri) che invogliano speculatori in erba ad aprire conti di investimento con forte leva (cioè con la possibilità di acquistare grandi quantità con una piccola cifra iniziale) spuntano ovunque su internet, basta cliccare. Tutti questi contratti ovviamente sono disegnati sullo schema dei futures, vale a dire si concentrano sulle oscillazioni dei prezzi senza prevedere poi una consegna fisica.
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