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Berlino accetta di aprire gli archivi sull’Olocausto

Tra sei mesi, se ci sarà il «sì» degli 11 Paesi custodi, oltre cinquanta milioni di dati saranno accessibili agli storici

Salvo Mazzolini

da Berlino

Quando fra non molto saranno tolti i sigilli agli archivi di Bad Arolsen, sarà come sfogliare un'enciclopedia degli orrori e delle nefandezze. Nei suoi schedari, che allineati superano i ventiquattro chilometri, ci sono più di cinquanta milioni di dati riguardanti oltre diciassette milioni di vittime del Terzo Reich. Dati minuziosamente raccolti dagli stessi nazisti che con un'ossessione maniacale elencavano tutto, anche i particolari più raccapriccianti, sui loro prigionieri: come reagivano ai sadici esperimenti scientifici, quali erano le loro inclinazioni sessuali, se avevano tendenze verso l'omosessualità, l'incesto o la pedofilia, come si comportavano durante gli interrogatori e le torture, e naturalmente quali erano le loro idee politiche, la loro appartenenza etnica e religiosa.
Tutto ciò che contribuiva a rendere un individuo non in linea con i dettami del Reich, e quindi da perseguitare o da ricattare, veniva catalogato e archiviato insieme alle varie tappe del destino riservato alla vittima. Una lettura da incubo tenuta rigorosamente segreta per sessantuno anni. E che tra sei mesi, si spera, sarà accessibile agli storici, dopo un lungo e duro braccio di ferro tra i governi che in base ad un trattato internazionale avevano in custodia l'archivio, tenuto quasi nascosto, come un frutto avvelenato, a Bad Arolsen, ridente località termale dell'Assia dove fu rinvenuto nel ’45. Ad opporsi alla sua divulgazione era soprattutto la Germania per una serie di ragioni solo in parte condivisibili. C'era la preoccupazione, comprensibile, che alcuni particolari contenuti nelle schede avrebbero potuto gettare discredito sulle vittime. A chi giovava far sapere che una vittima della Gestapo in un momento di debolezza aveva ceduto alla delazione o che sotto tortura aveva ammesso deviazioni sessuali inconfessabili? Ma c'era anche la preoccupazione di evitare una nuova ondata di richieste di risarcimento da parte delle vittime sopravvissute o dei discendenti di chi pagò con la vita l'avversione al nazismo.
Su pressioni dell'America e delle associazioni ebraiche (il 70% delle schede riguarda le vittime della Shoah) le obiezioni sono state ora superate. A Washington il ministro della Giustizia tedesco, Brigitte Zypries, dopo un colloquio con il collega americano, ha annunciato che è stato raggiunto un accordo sulle norme che dovranno regolare la consultazione degli archivi. Avranno libero accesso solo gli storici. Quanto alla pubblicazione di aspetti imbarazzanti per le vittime, sarà regolata dalle leggi sulla tutela della privacy che negli ultimi anni sono diventate più severe in tutti i Paesi occidentali. La responsabilità legale sarà quindi di chi pubblicherà notizie suscettibili di violare la leggi e non di chi ha permesso la visione degli schedari.
Ancora non si sa esattamente quando gli archivi saranno consultabili. Le procedure sono complesse poiché il trattato che affidò la custodia a undici Paesi (America, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Grecia, Israele, Polonia e Lussemburgo) prevede che ogni decisione debba essere presa all'unanimità.

Ma l'ostacolo principale è stato rimosso.

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