Berlusconi: «Che peccato non aver preso Ibra»

Ibrahimovic è il vero, unico rimpianto di Silvio Berlusconi, presidente del Milan, ieri ospite della video-chat della Gazzetta dello Sport invasa dalle domande di tifosi (8.500, un autentico record). «Era già tutto deciso, ci siamo tirati indietro per la storia della penalizzazione, eravamo indignati» la confessione piena sull’affare di due anni prima. Su Ronaldo, invece, è Berlusconi a rallentare. «Ho telefonato personalmente al brasiliano e ad Ancelotti per consigliare prudenza e pazienza. Lui deve entrare in forma per la sfida di Tokio» è l’altro passaggio del presidente milanista, intervenuto su tutte le questioni di grandi attualità.
A cominciare dalla vicenda Dida, difeso in modo convinto: «Ha ancora problemi a una spalla, forse era meglio che Dida non giocasse a Glasgow perchè non era nella condizione migliore e poi questo comporta anche risvolti psicologici. Sbagliare è possibile per tutti, anche per un grande campione ma la squalifica di due turni ci sembra eccessiva». Per poi passare a Kakà: «Se fossi un calciatore, vorrei essere lui dopo aver apprezzato da ragazzo Ettore Puricelli. Mai Kakà ha manifestato l’idea di essere ceduto, come accadde per Shevchenko, partito per motivi famigliari. Perciò non lo cederemo mai. Con il presidente del Barcellona, scherzando abbiamo accarezzato l’idea di scambiarci i prestiti di Kakà e Ronaldinho. Ma si trattava di un gioco». Non sono mancate le battute. Una riservata a Braida («gli rimprovero di essere tornato dalla Francia con Dugarry e senza Zidane»), una a Fedele Confalonieri («ci siamo promessi che il primo che s’accorge dell’altrui rincoglionimento, avverte»), l’altra a Gourcuff («deve trovarsi una fidanzata»).


Per finire Berlusconi si tiene stretto San Siro («non cerco un altro stadio»), dice no alle partite a porte chiuse e smentisce il catenaccio della figlia Marina nei confronti del bilancio rossonero. «Non è affatto vero, ho ancora io la piena potestà e poi i miei figli mi incitano a spendere, come ho appena fatto per un ospedale in Amazzonia», la chiusura.

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