Berlusconi e i prezzi del calcio: "Ora metterò fine alle follie"

Il premier apre un nuovo fronte: "Non è decente spendere cifre incompatibili con l’economia reale. È necessario intervenire. Non si può andare avanti così, è arrivato il momento di avere senso pratico"

Berlusconi e i prezzi del calcio: "Ora metterò fine alle follie"

Milano - È stato di parola, ancora una volta. «Presto mi occuperò di calcio» promise Silvio Berlusconi nei giorni caldi della cessione di Cristiano Ronaldo al Real Madrid per una cifra mostruosa, 93 milioni di euro. «I prezzi del calcio sono una pura follia»: all’uscita dal seggio milanese di via Scrosati dove ha votato per il referendum e le provinciali, Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio e patron del Milan, ha messo i piedi nel piatto, come si dice. E parlato dell’argomento, sulle prime pagine dei giornali da qualche tempo, con il linguaggio della gente comune. Lo ha fatto conversando con i cittadini milanesi che lo hanno atteso dinanzi al seggio, qualcuno, di fede milanista, è entrato nel dettaglio della questione e ha ricevuto una chiosa del genere: «Se uno pensa alle cifre che ci sono in circolazione nel calcio e le commisura all’economia normale, non c’è nessun rapporto. Non si può andare avanti così. Bisogna avere un minimo di senso pratico e di decenza. Non si possono spendere quelle cifre».

Fin qui la denuncia del sistema impazzito. Seguita dalla promessa che apre uno scenario tutto nuovo. «Adesso ho anche intenzione di fare delle cose al riguardo perché è diventata una cosa generalmente inammissibile» la frase che prelude a qualcosa di concreto per risolvere la questione. Quando Berlusconi parla di «prezzi che sono una pura follia» si riferisce alle dimensioni delle cifre nel calcio continentale: agli stipendi naturalmente e alla valutazione dei cartellini che vanno dai 68 milioni (130 miliardi di vecchie lire) per Kakà ai 93 milioni (186 miliardi)per Cristiano Ronaldo. Perché gli uni (i contratti strappati dai procuratori voraci) sono la conseguenza delle altre, le super-valutazioni.

Da patron del Milan, Silvio Berlusconi ha dato l’esempio: la cessione di Kakà, quella prossima e probabile di Pirlo, resistendo alle pressioni della piazza, ne sono una testimonianza coraggiosa. Ma forse è il caso di un intervento che disciplini l’intera materia, non limitandola al calcio. Anche nella tv circolano contratti da capogiro. Berlusconi intervenne in prima persona con Fiorello e quando conobbe l’offerta di Sky fu costretto a riconoscere: «Non si può dire di no». La stessa frase confessata dinanzi allo stipendio apparecchiato da Florentino Perez per il suo adorato Kakà. Molti suoi oppositori politici, tra questi anche Gianni Rivera, hanno ricordato un falso storico. «Fu Berlusconi a far salire i prezzi quando divenne presidente del Milan». Nella primavera dell’86, l’imprenditore che salvò il Milan dal fallimento, si ritrovò infilato e soffocato dentro un monopolio: nel calcio italiano dell’epoca solo la Juve aveva il denaro per comprare, grazie alla Fiat, c’erano tanti negozi aperti e un solo acquirente che dettava i prezzi e le modalità d’acquisto. Per far saltare quel monopolio, Berlusconi fu costretto a spendere più del dovuto: si recò dall’Atalanta, società satellite della Juve, e strappò Donadoni ai bianconeri. Da quel giorno il Milan divenne un protagonista coccolato del calcio-mercato.


Cosa può fare adesso il governo italiano per moderare le cifre folli del calcio? L’intervento, reclamato dai presidenti, è in materia di tassazione: in Spagna vige un sistema fiscale agevolato, del 24%, per calciatori provenienti dall’estero.

Da noi sarebbe complicato introdurre una norma del genere, anche estendendola agli altri lavoratori. Chi spiegherebbe a un imbianchino bergamasco che per il suo collega proveniente da Tunisi il datore di lavoro paga meno tasse?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica