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Berlusconi non molla: "Fli? Mi sfiducino in aula". E finito il summit di Seul rientra subito in Italia

Berlusconi da Seul: "Nessun passo indietro, non possiamo fidarci dei finiani. Con Fini è diventata una questione personale". Il leader di Fli tenta Bossi: Tremonti o Maroni premier. Intanto, appena terminato il summit del G20, il premier rinuncia alla conferenza stampa finale e fa rientro in Italia

Berlusconi non molla: "Fli? Mi sfiducino in aula". E finito il summit di Seul rientra subito in Italia

Seul - Novemila chilometri di di­stanza, eppure Italia e Corea del Sud non sono mai state tanto vicine come ieri. Con una vera e propria linea diret­ta tra l’ufficio di Cicchitto alla Camera - dove si riuniscono coordinatori, capigruppo e al­cuni ministri del Pdl - e la sui­te del Park Hyatt di Seul che ospita Berlusconi alla fine del­la prima giornata di lavoro del G20. Tre telefonate inter­minabili nonostante le otto ore di fuso che separano il pri­mo pomeriggio romano dalla notte coreana. Con le parole del Cavaliere che rimbomba­no­nell’ufficio di Cicchitto gra­zie al viva voce. E che lasciano pochi dubbi.

L’esito del faccia a faccia tra Fini e Bossi, infatti, non è nul­la di più di quanto il premier si aspettasse. Con il rifiuto del presidente della Camera ad una crisi pilotata nonostante il Cavaliere avesse già fatto fil­trare la sua disponibilità a un Berlusconi bis con dentro an­che l’Udc. Il dettaglio non è di poco conto, perché nel primo caso non sarebbe affatto scon­ta­to che a guidare il nuovo ese­cutivo sia nuovamente il Ca­valiere. Ma su questo Fini è ir­removibile e il premier non è intenzionato a rimettere il mandato senza le dovute ga­ranzie del caso. Perché, è il senso del suo ragionamento, se pure davanti alla disponibi­lità di un rimpasto e di un al­largamento della maggioran­za si continua a pretendere una crisi al buio è ovvio che gli intenti sono altri. Su cui il Cavaliere ha pochi dubbi: la questione non è più politica, è personale. Perché, ragiona­va in privato prima di partire per Seul, ormai Fini vuole so­lo il sangue, vuole solo veder­mi morto, è lui il vero capo dei falchi del Fli. Per dirla con le parole di un ministro, «da qualche settimana Monteci­torio n­on sembra più la Came­ra dei deputati ma l’anticame­ra di piazzale Loreto». E tanto ne sono convinti i vertici del Pdl che ieri Cicchitto ha invia­to un sms a tutti i deputati chiedendogli di ritirare gli emendamenti alla legge di Stabilità perché lo show down è così vicino che non si escludono «scherzi» del Fli nemmeno su una materia tan­to delicata. D’altra parte, una crisi di governo sulla legge che scrive il bilancio dello Sta­to non potrebbe che aprire le porte a quel governo tecnico che metterebbe il Cavaliere nell’angolo.

Berlusconi, dunque, è deci­so ad andare avanti. Lo dice durante il volo che lo porta a Seul («si assumano le respon­sabilità della crisi e diano cor­so alle loro minacce») e lo ri­pete in collegamento telefoni­co a Bondi, Verdini, Alfano, Sacconi, Gelmini, Brunetta, Fitto, Cicchitto, Quagliariello e Lupi (raggiunti poi da La Russa). «Nessun passo indie­tro - spiega - perché non esi­stono le condizioni minime perché ci si possa fidare. Fini­rei per lasciare Palazzo Chigi senza neanche combattere». Per questo, ripete, deve esse­re il Fli a votarmi contro. Così, quando Fini ritirerà la sua de­legazione al governo ( forse lu­nedì, dopo il rientro a Roma del premier),l’idea è quella di sostituire gli uscenti e presen­tarsi al Senato per la fiducia. Perché i numeri sono più sal­di ma anche per guadagnare tempo visto che la Camera si sta occupando della temuta legge di Stabilità (alla telefo­nata tra Berlusconi e i vertici del Pdl non partecipa Tre­monti nonostante sia anche lui a Seul per il G20) e dei de­creti sul federalismo cari alla Lega. Detto questo, anche a Palazzo Madama i rischi ci so­no visto che durante la riunio­ne da Cicchitto c’è chi sostie­ne che «cinque o sei senatori siano già pronti a passare dal­­l’altra parte». Vero.

E Berlusconi lo sa. Ma sa an­che che la questione è ben più complicata di come la raccon­ta­nel pomeriggio al primo mi­nistro del Vietnam Tan Dung («In my country I have some difficulties», ammette). In­somma, se è vero che Fini può contare su un asse di ferro con Casini e sulla sponda del Colle è pressoché impossibi­le che una crisi al buio non fi­nisca con quello che il pre­mier definisce «un ribalto­ne ».

Così fosse, si sfoga con i suoi, «non si illudano che io resti a guardare». Se vogliono sovvertire il voto popolare so­no disposto a portare la gente in piazza,a costo-è l’iperbole che usa nel suo ragionamen­to- di arrivare alla guerra civi­le.

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