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Berlusconi: «Paese umiliato» Ma apre sulla legge elettorale

L’ex premier attacca il governo: «Una rissosa assemblea di condominio. Sul sistema di voto però dialoghiamo»

Berlusconi: «Paese umiliato» Ma apre sulla legge elettorale

da Roma

La legge elettorale, si sa, è il terreno dove, più di ogni altro, si esercitano i tatticismi della politica e dove si gioca di sponda con l’avversario, cercando di dissimulare i propri interessi e le proprie paure nel nome del superiore interesse dello Stato e della governabilità. E così Silvio Berlusconi, nell’intervento alla Camera con cui annuncia il suo «no» alla fiducia al governo Prodi, usa l’arte della cautela per pronunciarsi su quello che resta uno dei temi caldi del momento.
Il presidente di Forza Italia mette le carte in tavola. Il sospetto che dietro le manovre incrociate dei partiti si nasconda una trappola è tutt’altro che fugato. Ma dopo aver bocciato ventiquattro ore prima il sistema tedesco e quello francese, il Cavaliere, stavolta, apre uno spiraglio e conferma «la disponibilità a un dialogo». Il tutto a una condizione: che «non sia un espediente dilatorio ma un confronto franco e serio in tempi rapidi e definiti». Berlusconi, insomma, non rinuncia alla sua naturale diffidenza verso ciò che percepisce come manovre di palazzo. Ma guarda negli occhi i suoi avversari e fa un passo nella direzione del confronto.
Naturalmente il leader del centrodestra non porge certo il ramoscello d’ulivo verso l’Unione. I toni, infatti, restano duri e sferzanti. E producono una fotografia impietosa dell’esecutivo sopravvissuto alla crisi con qualche acrobazia e con un sensibile abbassamento delle ambizioni iniziali. Berlusconi definisce il governo Prodi una «assemblea di condominio molto rissosa che sta umiliando il Paese» e rivendica come merito del proprio esecutivo il buon andamento economico di questi ultimi tempi. Il leader di Forza Italia, inoltre, ci tiene a precisare che la Casa delle libertà continua ad essere espressione di un popolo, il «popolo della libertà», unito da una comune visione politica. Come dire che il centrodestra, nonostante la continua produzione di distinguo ad opera degli alleati, è più unito di quanto non sembri, soprattutto a livello della sua base. Il collante, quindi, è nei valori di fondo. Motivo per cui «questo governo non riuscirà a dividerci con la chimera del federalismo fiscale o del grande centro. Anche chi tra di noi vuole ora legittimamente distinguersi sono sicuro che non tradirà e resterà fedele al grande popolo delle libertà».
Berlusconi assicura che «darà corpo alla protesta del Paese come è successo nella magnifica festa del 2 dicembre scorso». Accusa il centrosinistra di aver «preferito tamponare» la ferita della crisi con la caccia al «singolo voto senza cercare una soluzione seria». E rivendica l’eredità del suo governo e «l’ottima riforma delle pensioni che vi dà 8 miliardi di euro, oltre a un deficit al 2,4% tra i più virtuosi in Europa». Poi parte all’attacco. «Non è mai accaduto che tra il primo e il secondo voto di fiducia un governo cambi la linea politica. Qual è il vero governo Prodi? Siete passati dal programma di 281 pagine ai dodici punti programmatici per uscire dalla crisi. Diteci qual è il vero governo». E ancora, citando i Dico: «Avete riposto in fretta e furia quella che per voi era una bandiera simbolica senza neanche ammettere l’errore». Per tacere delle prospettive plumbee che si affacciano all’orizzonte del governo, visto che «sbandierate la vostra autosufficienza ma sull’Afghanistan tra due settimane non avrete la maggioranza», pronostica. La conclusione è semplice: «Esiste un Paese reale. E oggi voi siete minoranza nel Paese».
Fin qui l’intervento nell’aula di Montecitorio. Ma dopo la bagarre scatenata contro di lui dall’intervento di Piero Fassino, Berlusconi, parlando con Gerardo Bianco ma anche con i suoi collaboratori, non nasconde la «delusione» e «l’amarezza» per l’attacco del segretario diessino, dai toni «ingiustificatamente severi». Uno schiaffo a quelle tiepide prove tecniche di confronto andate in scena in aula che lascia perlomeno perplesso il Cavaliere.

Ma che non riesce a spegnere completamente la scintilla del dialogo accesa poco prima.

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