«Mi avete fatto lavorare anche voi...». A Villa Certosa Silvio Berlusconi
cerca di rubare qualche ora di riposo agli impegni da premier che non conoscono
vacanza. Ma c’è sempre di mezzo qualche
telefonata, qualche incontro, qualche dossier da studiare. E qualche
intervista. Come questa, con cui il presidente del Consiglio
anticipa al «Giornale» un po’ del suo (e del nostro) 2009.
Presidente, cominciamo dalla crisi economica. Lei ripete
spesso che la durata della crisi dipende dalla reazione dei cittadini:
meno si lasciano spaventare meglio è. La crisi è indiscutibile,
ma è vero che la riduzione del prezzo del petrolio fa diminuire i costi e
dunque aumenta il potere d’acquisto
delle famiglie. Qualche ministro
ha detto che nel 2009 le famiglie
avranno a disposizione fino a
3000 euro in più. Le sembra una cifra
eccessiva?
«Credo che il vantaggio sarà anche più
elevato. Ma prima di addentrarci
nei calcoli, vorrei ricordare
che fin dall'inizio della crisi economica
il governo italiano ha fatto tutto
ciò che era nei suoi poteri per garantire
la liquidità necessaria affinché
le banche continuassero a fare
le banche, mantenendo i finanziamenti
alle imprese e alle famiglie, e
ha dato la propria garanzia perché
nessun cittadino perdesse un solo
euro dei suoi depositi in banca. È
una linea che hoindicato per primo
nel panorama internazionale il 10
ottobre, e che ho poi sostenuto nei
vertici che si sono tenuti a Parigi, a
Bruxelles e a Washington, convincendo tutti i
capi di governo dei Paesi
industriali a farla propria».
Anche gli Stati Uniti?
«Certo. Anche gli Stati Uniti. All’inizio
avevano consentito il fallimento
della Lehman & Brothers e
di altre due banche, ma poi si sono
ispirati a noi quando hannocambiato
strategia e varato il piano Paulson di 700 miliardi
di dollari per evitare
altri fallimenti bancari».
Ma torniamo ai comportamenti dei
consumatori...
«Sì, come dicevamo ora la profondità
e l’estensione della crisi sono
nelle mani dei cittadini consumatori:
se riducono gli acquisti, le imprese
dovranno a loro volta diminuire
la produzione e, in qualche caso,
mettere in cassa d’integrazione i dipendenti,
dando vita a un circolo
vizioso che potrebbe risultare molto
rischioso».
Dunque?
«È proprio per evitare questo rischio
che ho invitato ed invito tutti,
soprattutto il ceto medio e coloro
che non rischiano il posto come ad
esempio gli impiegati pubblici, a
non modificare il proprio stile di vita,
a non dare ascolto alla canzone
del pessimismo e del catastrofismo
che ogni giorno viene cantata dalla
sinistra. Tanto più che nel 2009,
quasi a compensare gli effetti della
crisi, il calo delle materie prime e
quello del costo del denaro consentiranno
dei risparmi significativi alle
famiglie».
Adesso possiamo addentrarci nei
calcoli?
«Sicuro. Il calo del greggio, che
l’estate scorsa sfiorava i 150 dollari
al barile mentre ora è di poco sopra
i 33 dollari, significa che nel 2009 ci
sarà un risparmio medio di oltre mille
euro per ogni italiano, grazie al
minore costo del pieno dell’auto e
delle bollette della luce e del gas. Se
poi consideriamo che l’euribor,
che è il costo del denaro tra le banche
su cui si calcolano le rate dei
mutui variabili, è sceso dal 5,4di settembre
al 3,1 per cento, avremo anche
un minore costo per chi deve
pagare le rate di un mutuo. Anche
l’indice degli alimentari di base, calcolato
in dollari, scenderà da 170 a
quota 90-100. In totale, sommando
i vari risparmi possibili, ogni famiglia
potrebbe trovarsi nel 2009 con
un bonus di oltre mille euro per
componente...».
Mille euro per componente...
«E questa somma andrà ad aggiungersi
al pacchetto di misure decise
dal governo per tutelare le fasce sociali
più disagiate, tra cui ricordo la
carta acquisti di 40 euro al mese e il
bonus famiglia da 200 a mille euro».
Anche il popolo della partita Iva è
in una fase di sofferenza.
«Le piccole e le medie imprese erano
molto preoccupate per il flusso
del credito. Per questo siamo intervenuti
per rafforzare i Confidi, più
altre misure,comela riduzione dell’Irap,
la sua detraibilità dall’Ires e
la revisione degli studi di settore
per aziende e professionisti».
Che cosa pensa dell’equiparazione
dell’età pensionabile fra uomini e
donne proposta dal ministro Brunetta?
«Non si tratta di una proposta del
ministro Brunetta, bensì di una richiesta
europea. Il 13 novembre
2008 la Corte di Giustizia europea
ha condannato l’Italia perché la norma oggi in
vigore, ovvero l’anticipazione dell’età per la pensione di
vecchiaia
delle donne (60 anni) rispetto
a quella degli uomini (65), costituisce
- a parere della Corte di Giustizia
europea - una discriminazione
a scapito delle donne. Per porvi
rimedio, l’Italia ha 60 giorni di tempo,
anche se il termine del 13 gennaio
2009 non ha natura perentoria. È
tuttavia pacifico che, in caso di mancato
adeguamento, la Commissione europea
aprirà una procedura di
infrazione contro l’Italia, con
l’applicazione di sanzioni
economiche piuttosto
ingenti. Non è
dunque praticabile
l’ipotesi di lasciare senza esecuzione
la sentenza».
E nel merito?
«Nel merito, trovo
completamente
fuori luogo le critiche
di chi ha intravisto
qualcosa di punitivo
per le donne. Penso che la parificazione
dell’età pensionabile
delle donne si potrà fare in modo
graduale e volontario. E questo sarà
certamente gradito a molte donne
che, non volendo chiudersi dentro
casa, decideranno di lavorare
più a lungo, magari anche ricorrendo al
“part time”, perché più anni di
contributi previdenziali alla fine si
traducono in una pensione più sostanziosa».
Non pensa che sarebbe opportuna
anche la riforma delle pensioni per
liberare risorse da dedicare agli
ammortizzatori sociali?
«Già in campagna elettorale avevamo
escluso di intervenire di nuovo
sulle pensioni, anche se c’era un
buon motivo per farlo. Il governo
Prodi, per tenersi buoni i sindacati,
aveva infatti manomesso la nostra
riforma per eliminare il cosiddetto
“scalone”, con un costo di 10 miliardi
di euro per il bilancio pubblico.
Si tratta di un onere ingente, del tutto
ingiustificato se si pensa che serve
per mandare in pensione chi ha
appena 58 anni ed ha davanti a sé
una aspettativa di vita di almeno altri
20 anni».
Anche di più, presidente. Non puntiamo
forse a vivere fino a 120 anni
ormai?
«Di sicuro con i progressi della medicina,
l’aspettativa di vita è destinata
a salire ancora di più, fino forse a
raggiungere nel 2050 i 120 anni: è
una previsione del centro di medicina
“predittiva” del mio amico don
Verzé, condivisa anche dall’ufficio
studi della Banca d’Italia che ha dedicato
a questo tema uno studio recente».
La crisi può anche essere l’occasione
per riforme importanti. A quali,
oltre a quelle già fatte, pensa che
si possa mettere mano?
«È il momento giusto per fare riforme
che non incidono drammaticamente
sui costi pubblici, come
quella della giustizia, del processo
civile e di quello penale, oltre che
delle intercettazioni telefoniche.
Grazie a queste riforme l’Italia potrà
avere grandi benefici sul piano
della modernità, ma anche sotto il
profilo economico. Oggi i tempidella
giustizia civile sono incompatibili
con qualsiasi attività economica.
Cinque anni per ottenere un pagamento
legittimamente dovuto, altrettanti
per una causa di lavoro, otto anni per un fallimento:
sono ostacoliche
scoraggiano molte imprese
straniere a investire in Italia. Per
questo abbiamo subito messo mano
alla riforma del processo civile,
che è già stata approvata da un ramo
del Parlamento».
Ma le novità non si fermano al processo
civile...
«No, certo. All’inizio nel nuovo anno,
nella prima seduta del Consiglio
dei ministri, presenteremo anche
la riforma della giustizia,
per separare gli ordini
dei magistrati giudicanti
da quelli dei
pubblici accusatori:
questi ultimi,
che chiameremo
“avvocati dell’accusa”
dovranno
avere gli stessi doveri e gli stessi diritti
degli avvocati della
difesa. Solo così il
giudice sarà veramente
“terzo”, con un concorso e
una carriera diversa da quella dei
pm, e potrà garantire ai cittadini un
giusto processo. Quanto alle indagini,
restituiremo alla polizia giudiziaria
il ruolo che aveva sino al 1989
mentre ora l’iniziativa è interamente
nelle mani dei pm, che sono di
fatto sottratti a ogni controllo, con
conseguenze devastanti. Come tutti
hanno potuto constatare anche
nella recente contesa tra le procure
di Salerno e di Catanzaro».
E per le intercettazioni?
«Dovranno essere consentite solo
per le indagini riguardanti i reati
più gravi, per quelli con pene previste
sopra i 15 anni, come il terrorismo
internazionale e il crimine organizzato di stampo mafioso.
L’abuso
delle intercettazioni come reti a
strascico per acquisire notizie di reato
con in più il consueto teatrino
mediatico-giudiziario che viola un
diritto primario dei cittadini come
la privacy emette in piazza tutto ciò
che si dice al telefono, anche quando
non ha alcuna rilevanza penale,
dovrà cessare una volta per tutte.
Non c’è vera democrazia in un Paese
in cui i cittadini non possono
esprimersi liberamente al telefono
senza il timore di essere intercettati».
Preferirebbe avere sindacati uniti,
quindi trattare anche con la Cgil di
Guglielmo Epifani, o pensa sia meglio
fare accordi solo conCisl e Uil e
Ugl?
«L’unità dei sindacati non dipende
dal governo, questo è ovvio. Così
come è pacifico che il governo è
sempre aperto al dialogo con tutte
le parti sociali. Ricordo come esempio
il caso Alitalia, dove la Cgil prima
ha agito in simbiosi con la sinistra
per ostacolare l’accordo e poi,
resasi conto della impopolarità del
suo comportamento, si è seduta al
tavolo con gli altri sindacati ed ha
contribuito al successo dell’accordo
che ci ha permesso di conservare una
nostra compagnia di bandiera,
fondamentale per il nostro turismo
e per la nostra economia. Un
esempio di segno opposto. Tutti i
sindacati, esclusa la Cgil, hanno sottoscritto
il rinnovo del contratto del
pubblico impiego, che riguarda 3,6
milioni di addetti ed ha un peso salariale
sull’economia del Paese pari a
quello dell’industria. Qui è stata la
Cgil ad autoescludersi dalla firma.
Ma è probabile che poi, di fronte al
risultato ottenuto dai lavoratori
pubblici in un momento di crisi, un
aumento di 70 euro al mese, il vertice della
Cgil si sia reso conto dell’errore.
Noi andiamo avanti con una
regola molto semplice: lo Stato deve
fare lo Stato in ogni frangente,
non solo sul fronte dei rifiuti comea
Napoli e in Campania, ma anche in
campo sindacale. Ciò significa che
il governo prima illustra le sue proposte
alle parti, poi ascolta le loro
richieste e alla fine decide. Il ricatto
permanente non deve più funzionare».
L’evasione fiscale è ancora troppo
alta in Italia?
«Sì ed è uno dei problemi più seri
che dobbiamo risolvere. Tutte le stime
concordano nel valutare l’economia
sommersa intorno al 20 per
cento del Pil, cioè 300 miliardi di
euro, con un’evasione fiscale annua
di circa 100 miliardi. Il fenomeno
è diffuso al di là di ogni immaginazione.
Di recente mi è stata avanzata l’offerta di
acquisto di una pianta
rara per il mio parco botanico in
Sardegna. Il prezzo era di 50mila euro
senza fattura, e di 100mila euro
con la fattura. Se si arriva a questo
punto di sfrontatezza quando c’è di
mezzo il Presidente del Consiglio,
significa che questa prassi è ritenuta
addirittura normale. Ebbene,
penso che il federalismo fiscale ci
darà un grande aiuto per sconfiggere
questo malcostume, perché i Comuni saranno coinvolti
nell’accertamento
dei redditi dichiarati. E per
molti contribuenti troppo furbi sarà
più difficile dichiarare il falso nei
confronti di chi conosce il loro stile
di vita».
Le dispiace non poter tagliare le
tasse quanto vorrebbe?
«Sono certo che entro la fine della
legislatura la rivoluzionaria innovazione
che abbiamo introdotto con
la legge finanziaria per tre anni,
inattaccabile dalle lobbies parlamentari,
darà i suoi frutti e ci consentirà
di far scendere la pressione
fiscale. Per fortuna abbiamo messo
in sicurezza i conti pubblici prima
dello tsunami finanziario, impostando
una politica che prevede il
pareggio di bilancio per il 2011,
mentre ora siamo in presenza di un
debito pubblico pari al 106 per cento
del pil. È una brutta eredità ricevuta dai governi
del passato che riuscirono
nella straordinaria impresa
di moltiplicare per otto volte il debito
pubblico al fine di soddisfare le
loro clientele. Dobbiamo anche ridurre
drasticamente il costo della
macchina statale se vogliamo ridurre
la pressione fiscale. Oggi la nostra
Pubblica amministrazione costa a ogni cittadino italiano
4.500 euro
contro i 3mila e 300 che pagano
in media gli altri cittadini europei.
Si deve quindi riorganizzare dal
profondo la nostra Pubblica Amministrazione
digitalizzando ogni servizio
sia a livello centrale che locale».
Ma in concreto che cosa farà il governo
in questo campo?
«Entro il 2012 prevediamo l’abolizione
totale della “carta” nella Pubblica
amministrazione. Ogni pratica
sarà digitalizzata con l’eliminazione
delle code agli sportelli e con
la possibilità di operare per tutti dalla
propria casa o dal proprio ufficio
attraverso il computer e internet e
ogni cittadino sarà dotato di una
propria casella di posta elettronica
pe ri rapporti con la Pubblica amministrazione».
Lei è d’accordo che sia necessaria
una politica di rigoroso rispetto dei
parametri di Maastricht?
«Stiamo seguendo una linea di politica economica che punta a risolvere i problemi senza creare nuovo debito.
Sul piano teorico l’Unione europea si è dichiarata disposta a tollerare
uno sconfinamento di un punto
dei parametri di Maastricht. Ma
questo non sarebbe tollerato per
chi, come l’Italia, ha già un debito
superiore al proprio Prodotto Interno.
Un ulteriore appesantimento di
questo debito sarebbe giudicato come
un ostacolo per la stabilità dell’euro,
che è una moneta comune».
Come si è mossa, secondo lei, l’Europa
di fronte alla crisi? E come si
muoverà?
«I governi dei maggiori Paesi si sono
mossi in modo coordinato. E la
presidenza di turno del presidente
Sarkozy, con il suo dinamismo e la
sua franchezza, si è rivelata decisiva per
la fluidità dei rapporti sia istituzionali
che personali. È stato anche
grazie all’amicizia che mi lega
al presidente francese da molti anni
che nell’ultimo vertice abbiamo potuto raggiungere un’intesa
sul “pacchetto
ambiente” ed evitare che le
imprese italiane fossero gravate di
un costo insopportabile specie in
questa situazione di crisi annunciata».
Lei è sempre stato un liberale convinto.
Pensa che ci sia il rischio, di
fronte alla crisi, di un eccesso di
interventismo statale nell’economia?
«Gli interventi degli Stati in questa
circostanza non mettono in discussione
i principi della libertà di
mercato. Rimettere in moto gli investimenti
nelle opere pubbliche, come
abbiamo fatto varando il pacchetto
da 16,6 miliardi di euro per
riaprire i cantieri delle grandi infrastrutture
strategiche, giova a tutti,
specie all’impresa privata. Mi sembrano
decisioni di assoluta necessità
e di assoluto buon senso».
Parliamo dell’opposizione. Con Veltroni
il dialogo è impossibile?
«Quando si vuole il dialogo, non
si insulta l’interlocutore ogni giorno.
Se mi sedessi a un tavolo con chi
mi paragona ad Hitler o a Videla,
con chi mi accusa di essere fautore
di un regime, di non conoscere le
regole della democrazia, sarebbe
davvero un teatrino ipocrita, assolutamente
inaccettabile. Il Veltroni
del Lingotto che dichiarò la fine dell’antiberlusconismo,
della politica
come guerra a una sola persona, è
un miraggio che non esiste più, e
che forse non è mai esistito. Ora c’è
solo un personaggio, sempre meno
ascoltato dai suoi stessi compagni
di partito, che si è consegnato a Di
Pietro e ha fatto propria la sua mentalità
giustizialista in un abbraccio
che si sta rivelando mortale per il
Partito Democratico. Come si è visto
bene in Abruzzo, il Pd con la politica
dipietrista dell’insulto ha perso
molti consensi. Con gente simile,
io non potrò mai sedermi ad alcun tavolo.
Altra cosa sono i rapporti
in Parlamento tra i gruppi. Se l’opposizione
dovesse presentare suggerimenti
di buon senso nell’interesse
del Paese, sono sicuro che la
nostra maggioranza non potrebbe
che condividerli».
Con la tangentopoli delPd è caduto
un altro muro?
«Sono sempre stato garantista
con tutti, specialmente nei confronti
dei nostri avversari politici. Ho anzi
espresso pubblicamente l’augurio
che le accuse si potessero ridimensionare.
Non entrerò mai nel
merito di accuse che attendono ancora
tre gradi di giudizio. So bene
per esperienza diretta che certe accuse
sollevano grandi polveroni
mediatici, per poi finire in niente.
Però è certo. La sinistra pensava di
essere “diversa”, di avere una sorta
di monopolio dell’etica. Non è mai
stato vero nel passato, non è vero
oggi».
Crede anche lei che dietro la nuova
tangentopoli ci sia la mano di Di
Pietro?
«Nonsonounesperto di complotti
e non ho informazioni tali da poter
esprimere giudizi su un’ipotesi
comequesta. So però che in Italia ci
sono duemila pm fuori da ogni controllo.
Affermare che ora sono pilotati
da Di Pietro mi sembra una
sciocchezza assoluta».
I suoi rapporti con Bossi sono sempre
saldi e ormai al di fuori da ogni
discussione. Ma c’è qualche presa
di posizione della Lega che avrebbe
volentieri evitato?
«Confermo la mia solida amicizia
con Bossi. I giornali, come spesso
accade, si sono inventati una polemica
che non esiste e hanno messo
in contrapposizione una mia dichiarazione
sul presidenzialismo con
una di Bossi sul federalismo. Non
c’è nessun contrasto tra me e Bossi,
perché proprio il leader della Lega
Nord è stato il primo nel 2002 a dichiarare
che il presidenzialismo e il
federalismo fiscale sono due facce
della stessa medaglia. E non potrebbe
essere diversamente: al decentramento
di tanti poteri deve corrispondere
un rafforzamento del potere
centrale come garanzia dell’unità
nazionale».
Solo colpa dei giornali? Oppure la
Lega è in cerca di visibilità?
«I fatti sono questi. In occasione
della conferenza stampa di fine anno,
l’ultima domanda che mi è stata
posta riguardava l’architettura istituzionale
e il presidenzialismo, temi
ai quali non avevo neppure fatto
cenno nelle precedenti due ore di
conferenza. Ho risposto, e non poteva
essere diversamente visto che
l’avevo già dichiarato in passato,
che siamo a favore di un presidente
della Repubblica eletto dal popolo
e di una architettura istituzionale
che rafforzi il premier italiano, con
gli stessi poteri dei suoi colleghi europei,
a cominciare dal potere di revoca
dei ministri. Ma ho anche precisato
che ora ci sono altre urgenze
e che quindi se ne sarebbe riparlato
più avanti nel corso della legislatura,
sempre che sul tema si fosse trovato
l’accordo di tutte le più importanti
forze politiche. Queste parti
della risposta sono state assolutamente
ignorate e sui giornali del
mattino dopo il presidenzialismo è
diventato il tema principale della
conferenza stampa di fine anno e di
una polemica inesistente con la Lega.
L’ennesima disinformazione da
parte di quei giornali che non si fanno
scrupolo di prendere in giro i loro
lettori».
Siamo ancora lontani, ma c’è chi inizia
a fare un parallelo tra la presidenza della Camera di Casini e quella
di Fini. Di certo, per il momento
c’è chein più d’una occasione il leader
di An ha marcato la differenza
con lei che non ha mancato di replicare.
Anche Fini, come ha fatto Casini,
sta guardando già al futuro?
«Fini si sta mostrando nei fatti un
presidente della Camera equilibrato
e competente. Casini più che
guardare al futuro mi sembra preso
dalla nostalgia di un passato democristiano
che non tornerà più. Non
vedo davvero nessuna possibile
analogia tra il comportamento di Fini
e quello di Casini».
Come procede, a suo modo di vedere,
il Pdl?
«In dicembre, in soli duefine settimana,
ai gazebo del Popolo della
Libertà si sono presentati più di 5
milioni di italiani per scegliere i delegati
ai congressi locali che devono
preparare il congresso nazionale.
Si tratta di un successo fantastico,
frutto di un entusiasmo che conferma
la forte identificazione di
molti italiani nel nostro nuovo movimento
politico. I nostri elettori
senza le tessere di partito e le altre
bardature dei vecchi partiti, si sentono
una nuova realtà unitaria, con
una identità forte, che ha lasciato
da tempo alle spalle gli stessi partiti
dai quali il nuovo soggetto politico
è nato».
Torniamo alla politica internazionale,
il terreno sul quale lei s’è più
impegnato. E dove ha ottenuto
risultati più clamorosi.
È stato più complicato
affrontare la
crisi fra Russia e
Georgia o quella
economica?
«È vero, la politica internazionale ha rappresentato
più del 50 per
cento del mio impegno
come premier.
In questi sette mesi ho
incontrato 57 leader stranieri
in missioni bilaterali. Ho partecipato
a 7 vertici internazionali. A
questi si devono aggiungere ben 4
Consigli Europei. Insieme a diversi
nostri ministri ho anche preso parte
a 6 vertici bilaterali con Egitto, Romania,
Russia, Brasile, Turchia e
Germania ed ho effettuato una visita
all’estero quasi con cadenza settimanale.
Quanto alla crisi tra Russia
e Georgia abbiamo cercato di favorire
un ripensamento delle decisioni
assunte dai vertici russi che erano
fermamente intenzionati ad arrivare
a Tbilisi per punire il premier georgiano.
Al confronto, la crisi economica
scoppiata dopo lo tsunami
finanziario è stata certamente un fatto
preoccupante, ma non così catastrofico come il
rischio di un brusco
ritorno alla guerra fredda. Per questo
mi sto impegnando perché tra
gli Stati Uniti e la Federazione russa
si ritrovi lo spirito di Pratica di Mare,
che pose fine a più di 50 anni di
guerra fredda tra Est eOvest. Come
presidente di turno del G8 nel 2009
farò tutto il possibile perché il presidente
Obama e il presidente russo
Medvedev tornino al dialogo, superando
una contrapposizione dannosa
per il mondo intero. L’arsenale
atomico russo è tuttora in grado
di distruggere dieci volte la popolazione
mondiale; quello americano
venti volte».
Ha citato Obama. Cosa si aspetta
dalla nuova presidenza e come pensa
di impostare il rapporto con un
uomo molto diverso dal suo predecessore?
«La forte alleanza con gli Stati Uniti
e la Nato, insieme al fatto che siamo un
Paese fondatore dell’Europa
unita, sono da sempre i capisaldi
della nostra politica estera. Su queste
basi penso che l’Italia avrà con
la presidenza di Obama un rapporto
di collaborazione e di amicizia altrettanto
forte di quello avuto con i
suoi predecessori Clinton e Bush,
che ho conosciuto di persona e con
i quali ho stabilito solidi rapporti di
stima e di amicizia».
A proposito di rapporti, passata la
bufera, come sono attualmente i
suoi rapporti con Murdoch?
«C’è un proverbio che dice: si cambia casa,
non gli amici. Ecco, Murdoch
è un vecchio amico e ha capito
meglio di altri che sull’Iva da applicare
alla tv satellitare a pagamento
non potevamo sottrarci al diktat dell’Europa.
Dovevamo renderla uguale
a quella degli altri media audiovisivi
per evitare all’Italia una procedura
d’infrazione».
Il 2009 sarà l’anno in cui per la terza
volta - un record assoluto - presiederà
il G8. Crede che sia ancora
attuale e quali aiuti può dare per
quanto riguarda la crisi economica?
«Dopo le cattive prove date dalle
istituzioni finanziarie internazionali,
il G8 è diventato sempre di più
l’organismo per il governo dell’economia
mondiale. A differenza del
G20, che si limita a registrare le decisioni
degli sherpa senza neppure
un giro di tavolo dialettico tra iministri,
il G8 è un foro internazionale
che può assumere delle decisioni
cui si obbligano i singoli partecipanti.
È per questo che la riunione del
prossimo G8 che si svolgerà a La
Maddalena avrà una grande importanza
per l’economia mondiale. Su
mia proposta, dopo il primo giorno,
in cui si terrà il vertice degli 8
leader, si svolgerà un G14 al quale
sono invitati i Paesi delle nuove economie come la Cina,
l’India, il Sudafrica,
il Brasile, il Messico e l’Egitto.
Successivamente la riunione si allargherà
anche ad altri Paesi e al rappresentante
dell’Unione europea,
cioè al G20. I temi che discuteremo
nel G8 e nel G14 dovranno essere preparati
dalla presidenza
con incontri bilaterali.
Per questo
nei prossimi mesi
dovrò presumibilmente fare
visita a
ciascuno dei leader
che a luglio
verranno a La
Maddalena. Insomma,
mi aspetta
un’agenda fitta di missioni
internazionali».
Siamo alla fine, presidente.
Ma ci resta una curiosità. Abbiamo
parlato della vita fino a 120 anni.
Ma lei pensa anche di restare in politica
fino a 120 anni?
«La politica non mi affascina. Ma
amo l’Italia, il Paese in cui sono nato
e cresciuto, il Paese che non desidero
sia governato da una sinistra illiberale
e colpevole di avere causato
gravi ritardi alla crescita della nazione.
Per questo svolgo l’attuale ruolo
politico e di governo per senso di
responsabilità, poiché sono l’unico
che può tenere insieme tutte lecomponenti
che si riconoscono nel Popolo
della Libertà.
Mario Giordano
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