Bernanke sparge ottimismo, ma l’effetto dura poco

Parole rassicuranti del successore di Greenspan dagli schermi della Cbs: "Il pericolo di una grande depressione è ormai scampato. Nel 2010 i primi segnali di ripresa". Euforia in Europa (+2,3% Milano), Wall Street frena

Bernanke sparge ottimismo, ma l’effetto dura poco

New York - Il pericolo di un altro ’29, di una riproposizione in chiave moderna della Grande depressione, è ormai scampato. E nonostante lo scorso ottobre si sia sfiorata la disgregazione del sistema finanziario mondiale, ora il peggio è dietro le spalle e i primi segnali di ripresa cominceranno a manifestarsi nel 2010. Ci voleva la «prima volta» televisiva di Ben Bernanke, ospite nella tarda serata di domenica (in Italia era già notte) del programma della Cbs «60 minutes», per rendere ieri euforiche le Borse, tra rialzi che in Asia hanno visto Hong Kong chiudere a +3,6% e in Europa hanno oscillato tra il 2,3% di Milano e il 3,18% di Parigi, mentre Wall Street, dopo una reazione positiva, ha frenato in chiusura con il Dow Jones in calo dello 0,14% e il Nasdaq dell’1,92%. Gli indicatori macroeconomici statunitensi continuano in effetti a tenere l’ago puntato sul cattivo tempo (produzione industriale in calo dell’1,4% in febbraio, attività manifatturiera nell'area di New York crollata in marzo a -38,23 punti) e il petrolio sia tornato sopra quota 47 dollari il barile.

Finora, Bernanke aveva sempre rifiutato di sottoporsi alle interviste televisive. Un po’ in ossequio alla strategia di riservatezza della Fed, ma forse anche per il timore di incorrere in qualcuna delle gaffe che lo hanno reso celebre da quando ha sostituito un maestro della comunicazione come Alan Greenspan. Come quando, causa una galeotta confidenza alla bella giornalista della Cnbc, Maria Bartiromo, rivelò di non aver ancora finito di alzare i tassi. I mercati non gradirono, malgrado la successiva smentita dell’ex professore di Princeton. Oppure quando, recentemente, si lasciò scappare che «qualche banca Usa fallirà». Salvo poi correggere il tiro: «Nessun grande gruppo sarà lasciato fallire».

Bernanke sembra insomma più a suo agio con gli statement del Fomc (il braccio operativo di politica monetaria della Fed), calibrati alla virgola, e con gli interventi preparati per le audizioni davanti al Congresso. Dire sì alla Cbs, e per di più a un programma di massimo ascolto come «60 minutes», era insomma un rischio. Ma «i tempi eccezionali» per il Paese, ha spiegato lo stesso numero uno della banca centrale, richiedevano un’esposizione mediatica senza precedenti. L’esordio televisivo di Bernanke si può peraltro inserire nel nuovo modo di comunicare impostato dall’amministrazione Obama, con l’obiettivo di garantire la massima trasparenza nei confronti dei cittadini, scossi dagli innumerevoli scandali finanziari, fiaccati nel potere di acquisto dalla recessione e dall’alto indebitamento privato e sempre più preoccupati per il precario stato di salute del mercato del lavoro.

Questa volta, Bernanke ha fatto centro. Un cauto ottimismo è ciò che l’America voleva sentire. «Vedremo la recessione probabilmente terminare quest’anno - ha detto -. Vedremo la ripresa all’inizio del prossimo anno». A patto, però, che il sistema finanziario e del credito ritrovi un equilibrio, necessario anche per impedire al tasso di disoccupazione di superare il 10% (ora è all’8,1%). «Fino a quando non li stabilizzeremo non ci sarà ripresa. Ma abbiamo un piano. Ci stiamo lavorando». Un altro rischio individuato dal numero uno della Fed è che venga a mancare la volontà politica per continuare a sostenere le banche.

I primi segnali di recovery arriveranno quando, ha spiegato Bernanke, «una grossa banca avrà successo nel mettere insieme private equity. Per il momento tutti i finanziamenti privati sono per così dire in attesa. È come se dicessero: "Non conosciamo il valore di queste banche. Non sappiamo se sono stabili"».

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