da Roma
«Sono fortemente favorevole che con la massima trasparenza e sollecitudine venga data l’autorizzazione del Parlamento all’utilizzabilità delle mie intercettazioni». L’azzurro Salvatore Cicu ha fatto un passo avanti ribadendo tanto il «pieno rispetto del lavoro della magistratura» quanto il fatto di non aver partecipato «al compimento di scalate di alcun genere».
Ma se Forza Italia, pur confermando i propri principi garantisti, ha manifestato la volontà di non sottrarsi al confronto con i magistrati, per la maggioranza il discorso è profondamente diverso. La difficilissima gestazione del Partito democratico, la conseguente evanescenza dei Ds (che ora vedono Fassino e D’Alema formalmente messi in questione dalle tesi del gip Forleo) e la scarsa compattezza del governo rendono impervia la definizione di una linea comune.
In un simile scenario i presidenti delle due Camere, Marini e Bertinotti, hanno dovuto inventarsi il ruolo di baluardi delle prerogative parlamentari. Entrambi hanno criticato la modalità con cui le intercettazioni e l’ordinanza sono state divulgate prima che la richiesta di utilizzazione arrivasse al Parlamento. «Potrebbe costituire un problema», ha fatto sapere l’ex segretario del Prc. In ogni caso, «sarà la giunta competente a seguire l’iter» e poi l’Aula dovrà esprimersi nel merito. Considerati i tempi tecnici e la natura del dibattito, non è possibile ipotizzare tempi brevi per una risposta a Clementina Forleo.
Il fatto che in qualche modo si possa guadagnare tempo non sposta di un millimetro la pesantezza della questione. Una questione morale che sembra rivoltarsi contro il partito che per primo reputò inscindibile il rapporto tra etica e politica. Certo, il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, ha sottolineato di non ravvisare «gli estremi per riscontrare responsabilità giuridiche» pur non condividendo «l’impostazione dei dirigenti Ds che si impegnano per costruire un potere politico finanziario». Nello stesso Prc, però, un ex diessino come Pietro Folena si è scagliato contro quella «sinistra senz’anima» del Botteghino dal quale è uscito.
Ma al momento cruciale deputati e senatori che cosa faranno? «Il Parlamento dia via libera all’uso delle intercettazioni e non consolidi quel senso di casta intoccabile che ormai circonda l’intera classe politica», ha dichiarato il capogruppo a Montecitorio dell’Italia dei Valori, Massimo Donadi. Anche il senatore della Quercia ed ex magistrato Felice Casson ha ribadito che ogni immunità parlamentare è un «retaggio storico che andrebbe eliminato».
Ma chi dovrà dettare le strategie per uscire da questa impasse è il capogruppo ulivista al Senato, Anna Finocchiaro (Ds). Al di là della tiepida solidarietà dei Dl e dei prodiani, c’è la consapevolezza di una forte pressione esterna affinché si conceda l’utilizzo delle intercettazioni togliendo ogni paracadute a Fassino, D’Alema e Latorre. Ed è chiaro che Finocchiaro & C. vorrebbero scegliere in piena libertà, cosa che al momento non possono fare.
Soprattutto quando quotidiani sicuramente non ostili come Repubblica pubblicano editoriali come quello di ieri nel quale un eventuale rifiuto è paragonato a «una nuvola nera sui destini della politica italiana» che «impedirebbe ai protagonisti di liberare la propria reputazione da ogni sospetto». Ma, a conti fatti, chi resterebbe se i due leader della Quercia dovessero cimentarsi con le aule di tribunale? Walter Veltroni.
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