A dodici anni nemmeno sapeva cosa fossero le fiabe. Eppure ogni giorno viveva con due orchi, i suoi genitori, che la costringevano a umiliazioni e botte. Da Rapallo, comune del levante ligure, arriva una storia che ha lasciato a bocca aperta anche il commissariato di polizia locale. Neppure i poliziotti mai avrebbero immaginato che da quella telefonata anonima al Telefono Azzurro, trasmessa poi al Tribunale dei minori e alla Procura di Chiavari, sarebbe emerso qualcosa di così drammatico, di così violento.
La piccola, ridotta in stato di schiavitù, veniva chiusa sul terrazzo per ore e ore, vestita solo di mutandine e maglietta nonostante il freddo pungente. Qualcuno, forse un vicino o forse un abitante dei palazzi accanto, ha notato che la bambina faceva i suoi bisogni sul balcone e ha fatto scattare lallarme. Ma all'interno delle mura domestiche succedeva anche di peggio.
Una storia di maltrattamenti e prevaricazioni. Perché l'adolescente, figlia di due 37enni, il padre albanese e la madre ecuadoriana, aveva un solo ordine: ubbidire. E se non lo faceva arrivavano le botte. A tavola non poteva sedersi. Doveva aspettare che i genitori e i due fratelli più piccoli avessero finito. Poi, se dai loro piatti era avanzato qualcosa, poteva prenderselo. Altrimenti infilava le mani nella pentola per raschiare il fondo, raccogliere i chicchi di riso o sgranocchiare le ossa di pollo. Sempre con la testa bassa, le braccia lungo il corpo, la bocca chiusa e uno sguardo che non accennava ad illuminarsi. Agli ordini rispondeva «mande», abbreviazione spagnola di quel «comandi» di militaresca impostazione, proprio come se di fronte avesse due generali.
I dolori fisici facevano meno male di quelli morali. I fratellini, trattati in maniera normale, guardavano ma non capivano. E anche la scuola, per lei, era un tabù. I giorni di assenza erano troppi per essere giustificati con i classici malanni di stagione. I genitori, davanti agli insegnanti che chiedevano spiegazioni, rispondevano che la bambina aveva un caratteraccio, era disubbidiente. Giovedì, però, le scuse non sono più bastate e i due coniugi sono finiti in manette. «Te lavevo detto che forse la stavamo trattando un po' male», avrebbe sussurrato il marito alla moglie. Un breve momento di consapevolezza, perché subito dopo la figlia e il suo carattere difficile sono tornati sotto il loro mirino sfocato.
Adesso avranno tempo per riflettere: l'uomo è rinchiuso all'interno del carcere di Chiavari, la donna si trova nella casa circondariale di Genova Pontedecimo. I capi di accusa sono durissimi e fanno comprendere la gravità della vicenda: sequestro di persona e riduzione in schiavitù. Da tanti anni in Italia, non erano pregiudicati e avevano lavori saltuari. Il giorno prima del loro arresto, i servizi sociali hanno prelevato la piccola mentre era in classe, insieme a quei compagni che al contrario di lei ridevano e scherzavano come tutti i dodicenni. In pigiama e ciabatte non ha detto nulla, ma ha capito che l'incubo era finito.
Un mese di indagini hanno permesso al commissariato di polizia rapallese, guidato dal vice questore Carlo Di Sarro, di scoprire l'amara verità. Appostamenti, ma non solo. Una grossa mano è arrivata anche dalle dichiarazioni dei vicini. Adesso la Procura di Genova dovrà capire il perché di tanto accanimento dei genitori. Forse la bambina non era la loro figlia naturale e per questo motivo veniva trattata in maniera diversa rispetto ai due fratellini? Oppure dietro alle sevizie cera un movente culturale, cioè il fatto che fosse femmina? Interrogativi, che forse troveranno presto risposta.
Il compito più duro, però, spetterà ai servizi sociali che si occuperanno della piccola e dei suoi fratelli per dare loro unesistenza normale. A pochi giorni dal Natale è il regalo più bello.
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