da Nuoro
Gli occhi di due testimoni per trovare gli assassini di Dina: quelli di un bambino e poi gli «occhi» delle telecamere di un bancomat. In questi due elementi starebbe la chiave per trovare gli assassini di Dina Dore, la 37enne chiusa nel cofano della sua auto e morta soffocata durante un tentato sequestro a Gavoi, nel Nuorese.
Il superteste, la cui esistenza non viene però confermata dagli inquirenti, sarebbe già stato sentito alcune volte e potrebbe aver fornito elementi utili alle indagini: avrebbe notato dei movimenti fuori dal garage in cui è stata uccisa la donna e avrebbe scorto un uomo incappucciato fuggire a piedi per le vie del paese. Stava giocando - stando alle poche indiscrezioni filtrate dagli inquirenti- e avrebbe intravisto qualcuno con il passamontagna sul viso allontanarsi in tutta fretta dalla casa. La speranza è che qualche elemento in più possa arrivare dalle registrazioni delle telecamere puntate sull’unico sportello bancomat del paese, nella via principale. Se gli assassini, scappando da via Sant'Antioco, dalla casa della vittima, fossero passati da via Roma potrebbe esserci un preziosissimo video a immortalarli. Seppure in bianco e nero, al buio e con fotogrammi non ad alta definizione, le immagini potrebbero mostrare almeno l'altezza, la corporatura di questi, per ora, introvabili assassini. Gli inquirenti avrebbero così in mano le basi per un primo identikit.
La procura di Cagliari, che coordina le indagini, avrebbe acquisito anche le immagini immortalate da telecamere di abitazioni private, nella speranza che possano avere registrato qualcosa o, meglio, qualcuno. E a parte il rotolo di nastro adesivo trovato e compatibile con quello con il quale è stata avvolta mortalmente Dina Dore, carabinieri e polizia avrebbero raccolto, in un cassonetto, un oggetto ritenuto importante: forse lo stesso passamontagna indossato da uno dei banditi.
Ma il mistero non è legato solo al testimone e ai filmati. Resta da capire se si sia trattato di un tentativo di rapimento finito male, condotto da una banda di balordi non professionisti, o di una rapina sfociata poi nell'omicidio. Magari anche un sequestro «lampo» che avrebbe dovuto fruttare nel giro di poche ore qualche decina di migliaia d’euro. Ma, anche se il marito lo esclude, non viene scartata l’ipotesi di una vendetta. Ma di motivi per un odio così feroce per ora non c’è traccia.
Il problema è stabilire qualche certezza da cui partire. Manca anche «l’arma» utilizzata per stordire la vittima. Gli inquirenti smentiscono che possano essere le pinze trovate pulite nel garage, mentre gli inquirenti sarebbero propensi a credere che gli aggressori abbiano utilizzato un'ascia o una roncola.
E ieri pomeriggio tutto il paese si è stretto intorno alla famiglia di Dina e soprattutto al marito, Francesco Rocca. Almeno quattromila persone hanno partecipato alle esequie. Un pensiero è andato anche alla piccola Elisabetta, la figlia di otto mesi che suo malgrado ha assistito all'uccisione della madre. Durante la cerimonia, tutti hanno promesso di occuparsi di lei, di «adottarla».
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