La biotecnologia salverà la nostra agricoltura

Franco Battaglia

«Gli Ogm sono davvero pericolosi?» (editori Laterza) è il titolo della nuova fatica di Francesco Sala, direttore dei tre Orti botanici dell’Università di Milano. Dico «fatica» italiana perché Sala, nel campo delle biotecnologie vegetali, oltre a svolgere un’infaticabile attività di ricerca in collaborazione con laboratori di tutto il mondo, in Italia è costretto a ripetere quanto tutto il mondo, da anni, sa: l’agricoltura che si serve di Ogm non presenta più rischi di quella tradizionale. Semmai ne presenta meno, e ancora meno di quella biologica.
Il principale pericolo da Ogm per l’Italia è rinunciarvi. Gli operai inglesi, per paura della disoccupazione, distruggevano le macchine; la comparsa dei vaccini contro le malattie infettive fu accompagnata dal sorgere di comitati contro il loro uso; nel secondo dopoguerra gli agricoltori italiani distruggevano i primi raccolti di mais ibrido per paura del monopolio delle industrie sementiere. Oggi, per bruciare i raccolti basta il solo sospetto della presenza di un seme Gm ogni centomila. Inquinamento e danni alla salute, si dice. Ma tre miliardi di persone nel mondo si nutrono di prodotti Gm; gli altri tre miliardi o non hanno sviluppato la tecnologia o - è il caso dell’Italia - la avversano a priori. Tempo fa un sondaggio rivelò che il 70% degli italiani non li vuole, ma lo stesso sondaggio rivelava che l’80% non sa cosa siano. Sala prova a (ri)dircelo in 150 paginette formato tascabile. Le sue parole sono chiare e inequivocabili. Ma - avverte egli stesso - sono rivolte solo a chi è desideroso di informazioni che consentano poi di decidere con la propria testa: chi ha deciso di essere un irriducibile avversario degli Ogm può evitare di leggere.
Ma anche Sala pone e si pone una domanda: ha ragione l’Italia ad avversare - in modo così totalitario, con la tolleranza-zero - gli Ogm, o ha ragione il resto del mondo a servirsene quando e se ritenuti migliori dei prodotti tradizionali? Il quesito non è di poco conto, visto che ne va di mezzo la sopravvivenza della nostra agricoltura nazionale: perché, se ha ragione il resto del mondo, l’Italia potrebbe trovarsi presto nella stessa situazione della Russia di 70 anni fa, quando la classe politica russa, dopo che si fece convincere da tale Lysenko che le leggi della genetica moderna erano un’invenzione borghese e poco funzionale al regime, emarginò gli scienziati dissidenti, vietò lo sviluppo della genetica agraria, e inevitabilmente portò al collasso l’agricoltura del Paese.
Se a qualcuno sembra poco credibile che in Italia possa ripetersi oggi quel che in Russia avvenne 70 anni fa (e che vi durò sino al 1970), val la pena non dimenticare quanto ripetutamente esortava, da ministro, Pecoraro Scanio - il nostro Lysenko, direi - ai ricercatori biotecnologi italiani: «Abbandonate il settore delle agrobiotecnologie e dedicatevi ad altro!». Lo stesso Pecoraro Scanio, peraltro, che, facendo abortire il Programma nazionale biotecnologie, avviato alla fine degli anni Ottanta, fece anche accumulare l’ennesima figuraccia per l’Italia, visto che quel programma includeva importanti collaborazioni internazionali.
Il resto del mondo andrà avanti e l’Italia, invece, continuerà a restare immobile e finirà col restare sola, ci avverte Sala. Ma ci offre anche motivo di speranza quando c’informa che forse non tutto è perduto: di concerto col ministero della Ricerca, la Regione Lombardia - unica eccezione in Italia - ha avviato uno specifico progetto di ricerca e sviluppo nel settore agroalimentare con l’obiettivo di valorizzare i risultati della biotecnologia. Piaccia o no, anche in questo settore è ancora la Lombardia a fare la parte di leader nazionale, ed è ancora lì che, evidentemente, risiede la capitale morale del Paese. Nel frattempo, in Campania, ci si lamenta che, a causa di un virus, il pomodoro s. Marzano va in estinzione. Ma lamenti ed estinzione non hanno ragione d’esistere: i biotecnologi saprebbero come impedire l’estinzione e, con essa, l’invasione dei mercati con pomodori «tipo s.

Marzano» dalla Cina.

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