Blacher propone il Brandeburghese meno «canonico»

Con un cognome, Blacher, già celebre nel mondo della musica, per via di suo padre, l’eclettico compositore Boris, lui Kolja Blacher, ha da poco cominciato a frequentare Roma, dopo che vi è giunto al seguito di Claudio Abbado, nel 2005, per il festival dell’Orchestra di Lucerna, nella quale egli occupa il ruolo di «spalla» come già in numerose altre orchestre, e tutte fra le cinque più grandi nel mondo, Berliner compresi. La sua presenza romana in quell’occasione fece subito scalpore, a seguito dell’indiscusso e apprezzato ruolo di leader tenuto in alcuni concerti cameristici. E fin da allora si disse che Kolja Blacher lo si sarebbe ascoltato ancora, a breve, il che avvenne esattamente l’anno scorso. Ora Kolja torna per guidare da «konzertmeister» un ensemble cameristico dell’Orchestra dell’Accademia in un repertorio che lo riporta in parte alle origini familiari (Schnittke , compositore russo, molto apprezzato, con il Trio per archi, in una trascrizione per piccola orchestra d’archi) e in parte agli amatissimi Bach e Mozart. Innanzitutto Bach, con il «Brandeburghese n.3», dalla struttura assai singolare - in due soli movimenti al posto dei consueti tre.

Il concerto si rivolge a un ensemble di soli archi, diversamente dalla maggioranza dei Brandeburghesi che hanno come destinatari un ensemble, a sua volta bilanciato o trainato da un solista o da un piccolo gruppo strumentale. Seguirà Mozart con uno fra i più noti concerti per violino e orchestra, quello in «la maggiore» (K 219), conosciuto anche con l’appellativo di «Turkisch» per via del Rondò finale. Questa sera ore 21.

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