C’è accanimento e accanimento. Quello in voga nello sport italiano è molto insidioso, specie se si presenta sotto le mentite spoglie di un moralismo da strapazzo. Quello incarnato da Joseph Blatter, onnipotente presidente della Fifa, un tempo influente segretario generale della stessa federazione mondiale, sfacciato e ripetitivo, rischia invece di diventare una specie di grande megafono del trionfo azzurro a Berlino e dei meriti realizzati da Lippi e dai suoi eroi di Duisburg. Il colonnello svizzero ha una grande dote: la sincerità. È raro che si pieghi alle leggi della diplomazia. Gli è successo solo dinanzi al commissario della Figc, l’avvocato Pancalli, adorabile ingenuo, che ha giudicato sincero il pentimento pronunciato dal padrone di casa, sulla collina di Zurigo qualche giorno fa. Blatter non ha mai nascosto la sua avversione per il calcio italiano da moggiopoli in avanti, l’ha declinata a tutte le ore e in ogni occasione, l’ha coltivata con passione fino al punto da immaginare che la Nazionale di Lippi venisse spazzata via dall’Ucraina piuttosto che dalla Germania invece che accedere alla finale. Non è riuscito a sopportare lo smacco del trionfo tricolore e si è evitato bellamente la premiazione nella notte di Berlino con una scusa banalissima. Guido Rossi e il ministro Melandri non han fatto una piega ma questo è un altro discorso: ciascuno ha i governanti e i commissari che si merita. Adesso a una tv australiana Blatter ha espresso memorabili scuse per il rigore concesso dall’arbitro spagnolo sulla caduta di Grosso che consentì a Totti di spedire a casa i canguri prima dei supplementari. In verità anche noi cronisti al seguito esprimemmo più di un interrogativo sul provvedimento dell’arbitro spagnolo. A noi è concesso, al presidente della Fifa no specie se coniugato a fumosi discorsi sulla simulazione. Gigi Riva, uno dei protagonisti di quell’impresa, gli ha consigliato di farsi curare. Ha ragione. È come se patisse di una «italomania». Se il presidente della Fifa fosse uomo d’onore dovrebbe andarsene domattina. E invece, c’è da scommettere, se la caverà con una smentita. Ma almeno un provvedimento il calcio italiano può prenderlo. Non si fidi di Michel Platini, che fu il suo suggeritore nel caso Materazzi-Zidane e che si candida alla presidenza dell’Uefa.
Blatter e la sua delirante intervista australiana finiscono con l’oscurare il messaggio di speranza giunto da Firenze al campionato tramortito dall’esito del derby. Non è tutto finito dopo lo spettacolare 4 a 3 di sabato notte e il meno 14 disastroso accumulato dal Milan. L’Inter ha lo scudetto in tasca, d’accordo, ma forse il Palermo, inseguitore fin qui accanito, non può essere più considerato un rivale provvisorio e casuale. Ha vinto a San Siro, mettendo sotto il Milan, ha vinto a Firenze, contro un altro rivale degno di rispetto. L’ha fatto in modo autorevole, senza ricorrere a mezzucci da dozzina per domare la squadra di Prandelli due volte sotto e due volte capace di recuperare. Il suo gioiello è un brasiliano coi capelli ricci e i piedi buoni, Amauri.
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