Al blocco attorno a Gaza partecipa anche l’Egitto Eppure nessuno protesta

Granzotto: 1) il governo palestinese è presieduto da Abu Mazen e non da Abu Hammas (tua invenzione). 2) il governo palestinese risiede a Ramalla e non a Nablus. 3) Hamas non è una organizzazione terroristica ma eletta democraticamente sconfiggendo al-Fatah di Abu Mazen. Infatti, qualche giorno fa perfino il presidente russo ha incontrato a Damasco «Mashal» il segretario generale di Hamas... allora Medvedev è terrorista? 4) a Gaza non ci sono suv ma pik-up per il trasporto di persone e merce. 5) a Gaza manca il cibo e il cemento per costruire e non il danaro sempre offerto dai paesi del golfo. Visibile che volevi fare bella figura invece solo il cane nella foto è bello e forse più intelligente. Poi basta leggere il racconto su Repubblica dello scrittore svedese Henning Mankell testimone oculare, su una nave, della brutalità dei soldati israeliani davanti a una missione umanitaria perfino in acque internazionali. Giornalismo spazzatura. Meglio non dirti cosa dicono di voi del Giornale all’ordine dei giornalisti.
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Non resisto al piacere di risponderle, caro Massimi: la sua signorilità, la sua squisita gentilezza per non parlare della prosa, così forbita ed elegante, mi ha conquistato. Proprio vero: in quanto a dialogo e confronto, c’è sempre da imparare, da voi «sinceri democratici» filo Hamas. Qualcosina, però, dovrebbe impararla anche lei e non si offenda se le ricordo che Abu Mazen - come del resto Yasser Arafat, che Allah lo abbia in gloria - è conosciuto dai suoi con la «kunya», diciamo così col nome d’arte e d’onore (Mahmud Abbas il primo, Abu Ammar il secondo). E ancora, che per l’Autorità nazionale palestinese, e sottolineo palestinese, Hamas è una organizzazione terroristica che ha preso il potere con le armi in pugno (la «Battaglia di Gaza», appunto, giugno 2007: una resa dei conti fra palestinesi). Infine, che lei può chiamarli come meglio crede, anche pick-up, ma i Suv restano Suv e Gaza City ne pullula. Quisquilie, d’accordo. Quel che conta è il «blocco». Ne vogliamo parlare? Non se la prenda, son cose che capitano, ma a me pare che distratto dalla lettura di Repubblica lei non abbia osservato con attenzione la carta geografica della striscia di Gaza. Se lo avesse fatto, avrebbe notato che essa confina, oltre che col Mediterraneo e con Israele, anche con la Repubblica Araba d’Egitto. E sottolineo araba. Le parrà strano, le parrà inaudito, però quella frontiera, quella con i fratelli arabi egiziani, è chiusa. Blindata. Per volontà del Cairo. Oddio, chiusa proprio no perché gli eroici combattenti di Hamas vi seguitano a scavare, sotto, centinaia di gallerie che consentono il passaggio di contrabbando - contrabbando umanitario, ovviamente - di merci varie. Malauguratamente gli egiziani, fermi assertori del «blocco», quelle gallerie le fanno saltare una via l’altra. All’occasione, le saturano di gas letali cacciandone come sorci gli eroici combattenti di Hamas e interrompendo l’umanitario viavai di generi di conforto.

Io di certe cose non me ne intendo, ma a quanto pare lei sì e dunque le chiedo: perché forzare il blocco presidiato dagli israeliani, notoriamente suscettibili? Perché non approntare un bel convoglio umanitario e pacifista in Egitto (magari lei potrebbe mettervisi alla testa, le farebbe onore) e via terra, che è più facile, irrompere nella Striscia e fra il tripudio della folla scaricare? In via subordinata che ne direbbe di un sit-in davanti all’ambasciata d’Egitto con rogo di bandiere e slogan «Giù le mani da Gaza»? O meglio ancora, di un poderoso girotondo di civile protesta sotto la residenza di Hosni Mubarak (l’aiuto: l’indirizzo è Mahmud Basyony, Abdeen, il Cairo)? Pensi quanto bene direbbero di lei all’Ordine dei giornalisti egiziani! Non indugi, Massimi: vada, vada, si troverà bene: al pari di lei e dei suoi amici di Hamas anche gli egiziani si acconciano con la keffia, che è simbolo di pace e di fratellanza, no?

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