Gli estimatori lhanno chiamato progressive, classic rock, rock sinfonico; i detrattori più gentili invece lo classificano come disimpegno colto. Negli anni Settanta il rock inglese - dopo aver saccheggiato per bene la tradizione blues e folk - si butta sulla musica classica. Nasce così un suono barocco, che cura molto tecnica ed estetica, un neoclassicismo che sarà una delle novità del decennio. King Crimson, Emerson Lake & Palmer, Genesis con sfumature diverse sono gli alfieri di questo stile pompieristico, che sfrutta da un lato lelettronica e al contempo gli archi (a volte veri, a volte simulati dal mellotron). Tra i campioni del genere, mai usciti di scena anche se fra mille litigi e cambi di formazione, riemergono gli Yes (40 candeline in carriera), con tre concerti teatrali al Comunale di Vicenza (lunedì), al Tenda Strisce di Roma (il 4 novembre) e agli Arcimboldi di Milano (il 6). Per i fan italiani è pronta una chicca; il cantante canadese Benoit David (che sostituisce la storica voce di Jon Anderson, non in forma fisicamente) e soprattutto per la prima volta da noi alle tastiere Oliver Wakeman, figlio di quel Rick Wakeman che è stato eminenza grigia e padre-padrone della band fondendo elementi gotici, sinfonici, medievali, in album celebri come Fragile e Close to the Edge. Wakeman senior è entrato e uscito per anni dal gruppo, e larrivo di Oliver sembra un modo di ripartire dalle radici. «È un ottimo musicista - sottolinea il chitarrista Steve Howe, nel gruppo dal 71 - con una formazione meno classica di quella del padre; il suo apporto è più rock ma senza snaturare le nostre caratteristiche».
Già, caratteristiche forse un po rétro, come si addice a un vecchio mito. «Per noi il tempo non passa e cerchiamo di rimanere in equilibrio tra presente e passato. Continuiamo a scrivere musica ma il pubblico chiede i nostri brani celebri. Lopera non invecchia, neppure i valzer di Strauss, Sinatra se fosse vivo canterebbe My Way. Quindi è giusto che il pubblico ci chieda Round-about, vuol dire che è entrata nella storia».
Per gli Yes (e non solo per loro) il rock progressivo non è roba da ultracinquantenni nostalgici, con tanta pancia e pochi capelli. «Se ci fate caso è il genere meno imitato e meno saccheggiato, ma vanta ancora milioni di seguaci. Per fare progressive bisogna essere virtuosi e unire la tecnica strumentale allanima. Noi al college studiavamo Prokofiev e Rimskij-Korsakov; poi ci siamo innamorati del blues e, per fonderlo con i suoni dellorchestra, ci siamo inventati la nostra orchestra». Finendo con lesagerare nel gigantismo della megasuite (nel 1973 era un doppio lp) Tales From Topographic Oceans. «Io lo considero un caposaldo - si difende Wakeman -, una specie di opera pittorica in quattro pannelli dove cè veramente di tutto. Non è un disco presuntuoso, è la summa della nostra vivacità culturale». Vivacità che non manca certo alla band, reunion, progetti solisti, ritorni clamorosi, litigate violente, soprattutto con Wakeman. «Non è vero, lui è molto egocentrico e deve prendere i suoi spazi. Ha scritto capolavori come The Six Wives of Henry VIII ma torna volentieri con noi. Il fatto è che siamo eclettici; con lui siamo più classici, senza di lui più rock e più liberi di improvvisare. Ma non preoccupatevi, in Italia non snatureremo il nostro stile».
E intanto guardano ancora avanti. «I Genesis non ci sono più. I Van Der Graaf vanno e vengono, Emerson Lake & Palmer viaggiano separati. Sempre attivissimi invece sono i nostri amici della Pfm, quella è veramente una band incredibile.
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