La Boccassini: pedinate Berlusconi in Francia

L’ossessione investigativa del magistrato di Milano: chiese alla polizia di controllare se il premier si trovava davvero all’estero la notte della telefonata in questura sul caso Ruby. L’ennesimo spreco di risorse, perché lo dimostravano già le intercettazioni

La Boccassini: pedinate Berlusconi in Francia

Gian Marco Chiocci
Enrico Lagattolla


Milano
- «Con la massima riservatezza». E se il messaggio non fosse abbastanza chiaro, «massima riservatezza» è pure sottolineato. L’opera omnia dell’inchiesta sul «Rubygate» è un monte di carte allegate all’avviso di chiusura indagini per Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti. Migliaia e migliaia di pagine. E poi ce ne sono tre che aprono uno spaccato sulla pervicacia investigativa del procuratore aggiunto Ilda Boccassini. Tre pagine inviate il 18 novembre scorso al Servizio centrale operativo della polizia di Stato, a Roma.

Il magistrato chiede un accertamento particolare. Riguarda la notte del 27 maggio 2010. Per intendersi, quella in cui Silvio Berlusconi telefona per «chiedere informazioni» sul fermo di Karima el Mahroug, che di lì a poco verrà affidata alla Minetti. Il presidente del Consiglio è in Francia, a Parigi, impegnato in una riunione ministeriale Osce. Ed ecco cosa chiede la Boccassini allo Sco. Di «accertare, con la massima riservatezza, se per impegni, istituzionali o privati, il presidente del Consiglio si trovasse effettivamente in Francia». Non solo. Perché «in caso positivo, essendo presenti anche altri cellulari, di cui si è chiesta l’analisi (chiamate precedenti a quella riscontrata sul cellulare del capo di Gabinetto in entrata e in uscita, con cellulari intestati alla presidenza del Consiglio e/o Silvio Berlusconi), ricostruire gli spostamenti del presidente del Consiglio e gli impegni istituzionali per i quali era richiesta la sua presenza all’estero». In pratica, il magistrato chiede agli agenti di polizia un pedinamento a posteriori del premier. Ovvero indagare sull’attività di Silvio Berlusconi impegnato - in veste di capo del governo - in una seduta dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
A cosa serve l’accertamento? E in seconda battuta, che differenza fa sapere se la telefonata al capo di Gabinetto Pietro Ostuni - che pure c’è stata - venga fatta dal premier da Parigi, da Roma, da Milano o da Arcore? Il 3 febbraio scorso, uno degli 007 al seguito del presidente del Consiglio aveva ricostruito la giornata del 27 maggio nel corso di un verbale difensivo. È stato lui, a bordo dell’aereo presidenziale, a telefonare alla questura di Milano dove si trovava Ruby. Una richiesta di informazioni dai toni «assolutamente normali». «Alle ore 23 circa - spiega il caposcorta - mi trovavo in qualità di responsabile delle scorta dell’onorevole Silvio Berlusconi preso l’aeroporto Le Bourget di Parigi al seguito del presidente del Consiglio dei ministri che si trovava nella capitale transalpina perché impegnato in una riunione ministeriale Osce».

Il verbale è stato raccolto tre mesi dopo la richiesta di accertamenti firmata dalla Boccassini. Ma già a novembre, il quadro era chiaro. In calendario c’era effettivamente la riunione dell’Osce. Non bastasse, c’è un altro elemento che rende apparentemente superflua la trasferta della Procura a Parigi. Perché quando Michelle Conceicao chiama il premier per dirgli che Ruby è in questura, alle 23.36 di quel 27 maggio, la cella del Cavaliere è agganciata alla rete Gsm francese. E il dato è inserito nella stessa delega allo Sco. Dunque, a meno che il telefonino di Berlusconi viaggi per l’Europa in mani altrui, il premier doveva essere Oltralpe.

Eppure, la Boccassini ha chiesto di andare più a fondo, Alla ricerca di non si sa bene che cosa. Però, nella nota alla polizia, lo ribadisce. «Le informazioni richieste, lo si ripete, rivestono carattere d’urgenza, ma soprattutto dovranno essere raccolte nella massima riservatezza».

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