Boffo va, ma il caos aumenta

La situazione è cambiata. Il direttore di Avvenire, da una settimana alle prese con le conseguenze della notizia divulgata (e documentata) dal Giornale, si è dimesso; e avrà avuto le sue ragioni per assumere una simile decisione. Il cardinal Bagnasco ha accettato senza indugi l’addio firmato da Dino Boffo, e anche il porporato avrà avuto le sue ragioni per farlo.
Vari colleghi ieri, appreso della rottura, mi hanno telefonato sollecitando un giudizio: ho risposto che questi sono affari interni alla Chiesa e non mi riguardano. Vorrei precisare che il nostro obiettivo non era quello di accrescere il numero dei disoccupati; bastano quelli che ci sono.
Non conosco personalmente l’ex timoniere del giornale della Cei; e non avevamo motivi per procurargli un danno. Ci premeva soltanto dimostrare che le sue prediche erano in contrasto con il suo stile di vita privata; e che, poiché certe critiche mosse dal quotidiano dei vescovi concernevano il comportamento (vero o presunto) pure privato del premier, il pulpito da cui provenivano non era idoneo. Su questo non ci sono più dubbi.
Una volta scoppiato il caso, siamo stati coperti di insulti. I più carini: siete bugiardi, killer, servi del padrone. Lo stesso Boffo ha contribuito a seppellirci sotto una coltre di improperi. Era evidente un tentativo generale non solo di difendere, per solidarietà di categoria, uno dei tanti lapidatori del premier (lodato dalla sinistra), ma anche di squalificare i nostri servizi, bollandoli di falso, e attribuendoli alla manina o alla manona del premier.
Risultato. Una gran confusione. Anche perché stampa e tivù (salvo eccezioni) anziché rassegnarsi all’evidenza del decreto di condanna esibito dal Giornale, hanno avviato una polemica pretestuosa su questioni formali di nessun conto. Dicevamo: non è un patteggiamento ma un rito abbreviato e una semplice ammenda; nossignori, correggevano altri, è una velina; oppure, è una informativa. Informativa di chi? E giù ipotesi: dei servizi segreti, della gendarmeria del Vaticano e avanti con la fantasia.
In un dibattito radiofonico ho riferito l’idea espressa da Dagospia e dal Riformista che tutto fosse partito appunto dal Vaticano. Apriti cielo. Me ne hanno dette di ogni colore. La sala stampa dello Stato pontificio si è lanciata in una disquisizione su servizi di sicurezza della gendarmeria e servizi segreti vaticani, e mi ha accusato di fomentare il caos solo perché avevo citato il contenuto di articoli letti su altri media. Come se il problema autentico fosse di tipo nominalistico anziché di sostanza.
Invece di chiedersi: sono fondate le notizie del Giornale o no?, il fronte «nemico» ha insistito con tigna una settimana sulla definizione e sulla provenienza dei documenti senza concludere alcunché. O meglio, concludendo che il Giornale aveva spacciato una patacca per notizia. Adesso le dimissioni di Boffo che hanno gettato nello sconcerto l’esercito dei moralisti, degli alleati estemporanei di Avvenire. I quali hanno esaurito le munizioni, ma se ne procureranno altre.
A questo punto siamo comunque dispiaciuti. Perché il direttore dimissionario, essendosi eclissato, difficilmente farà quello che avrebbe dovuto fare subito e non ha fatto: ossia raccontare come si sono svolti i fatti (non negarli) estraendo dal cassetto gli atti che solo lui (e i suoi avvocati) ha; i fogli del dossier che il Gip di Terni non ha consegnato alla stampa in quanto suscettibili di interpretazioni.
Già. È molto strano. Quello riguardante Boffo è l’unico processo in Italia le cui carte erano e sono inaccessibili. Quelle di tutti gli altri processi hanno visto la luce su ogni gazzetta con tanto di intercettazioni, interrogatori, particolari piccanti eccetera. Perché il Gip, Pierluigi Panariello, nonostante il diverso parere del Procuratore, si ostina a proteggere il dossier con una blindatura senza precedenti? Da notare che la vittima delle molestie è stata identificata e addirittura intervistata: il suo compagno, l’assistente di volo, pure.
Chiunque sia stato coinvolto anche di striscio in una vicenda giudiziaria è stato sbattuto sui giornali; la sua esistenza, anche negli aspetti più intimi, narrata nei minimi dettagli; e medesima sorte è stata riservata alle persone cui è capitata la sventura di parlare al telefono con un indagato: le loro conversazioni sono state trascritte integralmente e consegnate ai giornalisti ancor prima del dibattimento.
Perché solamente la storia di Boffo - nella sua completezza - viene tenuta in cassaforte? Qualcosa non quadra. Intendiamoci, non invochiamo la divulgazione dell’incartamento per infierire sull’ex direttore di Avvenire, bensì perché chiunque possa avere un’ulteriore possibilità di verificare, ove fosse necessario, che i pataccari non siamo noi ma chi ci ha dipinti come tali.
Dai commenti riportati dalle agenzie a proposito dell’uscita di Boffo, costato che l’opposizione non si è placata. Una vasta schiera di politici, non solamente del centrosinistra, seguita ad attaccarci; e parecchi editorialisti, pur davanti ai fatti nuovi, non desistono dall’insolentirci. Segno che siamo nel giusto.


Il presidente della Regione Puglia, Vendola, arriva a dire che avrei dovuto dimettermi al posto di Boffo. Una frase paradigmatica di come si intenda a sinistra la libertà di stampa: cacciare i direttori che osino pubblicare notizie sgradite al «club dei conformisti».
Complimenti a Nichi e ai suoi degni compagnucci.

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