È solo una manciata di voti, un ininfluente, forse fuorviante 10%, ma basta a diffondere un clima di preoccupata incertezza, a far temere una devastante guerra intestina tra il presidente Hamid Karzai e lo sfidante Abdullah Abdullah. Certo un dieci per cento non decide un'elezione, ma se dai fondi sputati dalla caffettiera del voto salta fuori un 40,6% per Karzai e un 38,7 per Abdullah diventa difficile non temere la lacerazione fatale capace di dividere candidati e Paese lungo linee tribali e far dimenticare il pericolo della minaccia talebana. Soprattutto in una giornata in cui loro, i veri nemici del Paese, mettono a segno la prima sanguinosa risposta alla sfida elettorale. Un giorno crudele in cui colpiscono al cuore Kandahar, devastano il cuore della città facendo esplodere cinque autobomba e causando almeno 41 morti e oltre 60 feriti. Un colpo micidiale messo a segno con la strategia consolidata di un camion bomba condotto da una kamikaze, un marchio di qualità che può facilmente condurre ad Al Qaida, scelto, probabilmente, per ribadire le capacità operative dell'organizzazione e confermare l'unità strategica con i talebani. Solo poche ore prima, sempre nel sud del Paese, avevano perso la vita quattro soldati Usa, straziati da una bomba.
Il risveglio della minaccia insurrezionale aveva toccato la zona di Bala Mourghab, il turbolento distretto sotto controllo italiano a poca distanza dal confine nord occidentale con il Turkmenistan. Lungo quella frontiera, vitale per i traffici di droga e i commerci illeciti dei talebani, scatta l'attacco ad un posto di polizia che costa la vita a due afghani. La risposta delle nostre truppe è immediata. Due squadre di paracadutisti del 183mo reggimento della Folgore raggiungono in elicottero la zona, circondano gli assalitori, li neutralizzano. Quell'attacco e la pronta risposta dei nostri paracadutisti dissolve di fatto la fragile tregua proclamata da insorti e rappresentanti del governo alla vigilia delle elezioni, costringe i nostri militari a tornare in prima linea. In una situazione già così convulsa e delicata il primo inconcludente assaggio di risultati elettorali rischia di avere effetti sinistri. Soprattutto se Karzai e Abdullah continueranno a rivendicare la vittoria e a scambiarsi pesanti accuse reciproche. Immaginare scenari diversi è, del resto, quasi impossibile. Karzai, minacciato da un ballottaggio che mette in discussione la sua credibilità di incontestato leader del Paese, deve per forza continuare a cantare vittoria. Abdullah, per non rinunciare alla competizione e mantenere la sfida al massimo livello, non perde occasione per rovesciare sul presidente ogni giorno nuovi sospetti. Prima denuncia il rinvenimento di urne sigillate piene di schede siglate esclusivamente con il voto per Karzai, poi mostra un video in cui ufficiali del governo preparano le schede a preferenza unica e infine diffonde la foto di alcuni seggi dove presidenti e scrutatori appostati alle spalle degli elettori controllano e decidono le loro scelte. «Se continueremo a ignorare questa proliferazione di frodi faremo i conti per altri cinque anni con lo stesso sistema di potere dimostratosi capace di distruggere istituzioni e legalità», dichiara Abdullah in unaccesa conferenza stampa.
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