Il Bonaparte di via Stalingrado

Era il 1999, ma sembra sia passato un secolo. Allora Giovanni Consorte la pensava in un altro modo: le concentrazioni bancarie? «Solo concentrazioni di potere», rispondeva sicuro. Oggi la mappa delle partecipazioni Unipol, la compagnia assicurativa su cui Consorte regna indisturbato, è un labirinto che porta in tante direzioni: nel portafoglio c’è una quota di Antonveneta, e poi mattoni di Reti Bancarie Holding, filiazione della Popolare Italiana di Fiorani, e un pezzo del Monte dei Paschi di Siena, santuario della finanza rossa. Infine, Consorte si è buttato alla conquista della Bnl e la relativa Opa è diventata uno dei tormentoni di questa stagione torbida.
Ora, solo ora, si scopre che Consorte era diventato uno dei maestri dell’intreccio, dell’incrocio, delle sinergie trasversali. Eh sì, perché abbandonato il perimetro disegnato con la falce e il martello, il signore di via Stalingrado, la roccaforte bolognese della Unipol, si è alleato con quel controverso gruppo che ora è al centro di una miriade di inchieste fra Milano e Roma, da far perdere la testa pure agli esperti: i Ricucci,no. E con loro Consorte ha percorso un pezzo di strada, finché non ha trovato ad aspettarli la magistratura.
Difficile battezzare questa singolare accolita, anche se qualcuno ha provato sbrigativamente a superare l’imbarazzo invocando la legge dei salotti: questi signori avevano molto denaro, ma erano estranei all’establishment. Così hanno provato ad occupare un loro spazio, ma inevitabilmente - come avrebbe detto il comunista Bertolt Brecht - si sono seduti dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano già occupati. Ed è scoppiata la scintilla di conflitti in parte visibili, in parte sotterranei, e come di norma capita da noi, risolti infine dai Pm e dai Gip. A sinistra è un susseguirsi di mal di pancia, di riflessioni sull’eterna questione morale che, in teoria, sta sempre altrove, ma poi gira e rigira, deflagra proprio in casa.
In realtà, Consorte nasce in una città defilata: a Chieti, in Abruzzo, il 16 aprile 1948. A Bologna arriva però presto e a Bologna si laurea in ingegneria chimica. Entra in Montedison ma sull’educazione da tecnico prevale la mentalità da stratega. Consorte ha il profilo del Bonaparte: ama il potere e non gradisce i pareri contrari. Insomma, è fatto, anzi programmato, per comandare. E deve solo cercare un luogo in cui sprigionare la sua energia.
Dopo un veloce apprendistato alla Lega delle cooperative, lo trova all’Unipol. Nel ’79 è già un dirigente della compagnia. All’epoca, però, l’Unipol è solo una placida provincia amministrata da vecchi dinosauri cresciuti a pane e Breznev. Senza infamia e senza lode. Anzi, a ben guardare i conti sono un disastro: 800 miliardi di perdite, 100 di debiti. Lui tesse la sua tela, sparigliando i giochi con combinazioni inedite: l’ideologia è ormai un abito logoro. La rossa Unipol finisce sotto l’ala benevola di Enrico Cuccia, il nume tutelare del capitalismo italiano con la C maiuscola. Nel 1989 l’Unipol riesce ad aumentare il proprio capitale e a quotarsi in Borsa. È l’incipit. Via Stalingrado non è più una trincea ma l’epicentro di un’offensiva impressionante: la Unipol fa shopping a destra e sinistra senza curarsi del prezzo e, secondo alcuni, dei risultati. Metabolizza con disinvoltura bocconi appetitosi come la Bnl Vita e la Winthertur. Oggi l’Unipol, con 10 miliardi di premi, è il terzo gruppo assicurativo italiano. Chapeau.
Il Bonaparte di via Stalingrado però non si accontenta. Nel ’99 ha incontrato il discusso finanziere bresciano Emilio Chicco Gnutti e ha partecipato con lui alla scalata Telecom, firmata dall’allora sconosciuta ma emergente «razza padana». Che c’entra la finanza rossa con la razza padana? Nulla, ma tutto si spiega, specie quando il vento soffia, impetuoso, dalla parte giusta. E poi il Bonaparte bolognese e i suoi compagni hanno le benedizione di Massimo D’Alema che con l’Unipol e il suo leader ha sempre avuto un ottimo rapporto.
L’avventura finisce con la vendita della preda alla Pirelli e l’incasso di una colossale plusvalenza, stimata in 100 milioni di euro. Ma non è questo, o non solo questo a contare: in quell’occasione avviene una sorta di mutazione genetica e nasce quel «controsalotto» che non si accontenta di muovere le leve in una grigia stanza di periferia. Intanto l’Unipol viene blindata con una costruzione societaria definita «gotica», e non certo per ragioni estetiche: la verità è che Unipol controlla Unipol. E che su Consorte comanda solo Consorte. Un vecchio dirigente cooperativo come il senatore diessino Lanfranco Turci lancia l’allarme contro il dilagante «bonapartismo manageriale». La solidarietà che talvolta non trova in casa arriva, è il caso di dirlo, con gli interessi, dai compagni di cordate e di scalate e di controscalate in simultanea evoluzione.
I furbetti del quartierino giocano su più tavoli, lui lancia la sua creatività, come una tavola, sulla cresta di quell’onda inarrestabile che gli sembra la bancassurance. Il connubio fra Unipol e Bnl. Il potere al quadrato. La prima e la seconda vita fuse in un unico pacchetto e disponibili allo sportello. Invano i «cugini» del Monte dei Paschi, dove pure è ottimamente assestato il padano Gnutti, gli hanno sussurrato come il grillo parlante di lasciar perdere. Si è mai visto un Bonaparte che indietreggia? Il resto è l’imbarazzante e ancora confuso scenario di questi giorni: la scoperta delle speculazioni no risk sull’asse Bologna-Lodi. L’emersione di plusvalenze realizzate - secondo la magistratura - grazie alla compiacenza del fidato Fiorani.

E la notizia che il compagno Consorte nel 2003 ha chiuso il suo conto nominativo, sempre presso la Popolare di Lodi, per aprirne un altro intestato a una fiduciaria. «Per problemi di riservatezza», ha spiegato l’interessato. Chissà se è proprio così.
Stefano Zurlo

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