Bondi e Brambilla lanciano il manifesto anti-Gianfranco

«M’hai provocato e io te distruggo! I me te magno!» diceva Alberto Sordi a un piatto di maccheroni. Chiamatela cucina politica, allora, per la serie: ecco come ti cuocio il nemico.
La notizia è che Sandro Bondi, ministro dei Beni culturali ma qui in veste di coordinatore Pdl, ha aderito ai Promotori della libertà. Per interpretarla non servono i soliti bene informati. Basta quello che Bondi ha scritto sul sito dell’«armata» guidata dal ministro Michela Vittoria Brambilla: «Libero Gianfranco Fini di dissentire da Silvio Berlusconi, ma liberi anche noi di rivendicare con orgoglio l’appartenenza ad una storia che non tolleriamo venga giudicata in modo tanto rozzo e sbrigativo quanto infondato e ingeneroso». Là dove «noi» sta per «gli ex Fi, gli ex An, l’attuale Pdl, i promotori della libertà», e insomma dal vertice alla base e ritorno, tutti. Eccola qui, la risposta del premier al presidente della Camera: il partito sta con me, non c’è «Generazione Italia» che tenga.
Del resto, col senno di poi è facile vedere che è stato così fin da subito. Quando il Cavaliere con mossa a sorpresa nel febbraio scorso lanciò i Promotori della libertà, lo fece sì in chiave elettorale anti-sinistra, «l’esercito del bene contro quello del male». Ma anche con un richiamo al serrate i ranghi e basta giochi di potere, là dove furono per primi i fedelissimi di Fini, in quei giorni impegnato nei soliti distinguo dal premier, a leggere un messaggio chiaro di Silvio a Gianfranco: il Popolo della libertà è con me. Il popolo, appunto, prima ancora dei vertici, non a caso la guida dei Promotori era stata affidata alla Brambilla, già leader dei Circoli della libertà. Così, quando l’insofferente ex leader di An lanciò «Generazione italia», furono in molti a giudicare il nuovo movimento interno come la risposta ai Promotori berlusconiani: «Non abbiamo bisogno di predellini ma di ragionamenti» disse il ministro Andrea Ronchi, finiano doc. Era la metà di marzo. Un mese dopo Fini ha scoperto le carte, annunciando di voler costituire una corrente interna. E adesso c’è Bondi che diventa responsabile della cultura e della formazione per i Promotori della libertà. È il partito che mette da parte i distinguo che una volta attanagliavano il rapporto fra Forza Italia e Circoli della libertà, con il coordinatore del Pdl che assume un incarico ufficiale fra i Promotori della libertà, ai quali non ci si iscrive se non si ha la tessera Pdl.
Se è davvero il confronto che Fini cerca eccolo, è il senso. E infatti Brambilla annuncia sul sito altri «interventi di autorevoli esponenti politici, intellettuali, giornalisti, economisti ed esperti che vogliono essere la base di dibattito per dare luogo ad un franco e continuativo confronto con gli italiani». E avverte: «Il ruolo dei Promotori si gioca su un doppio binario. Quello di spiegare ai cittadini le azioni del governo. Ma anche di raccoglierne idee e istanze. Sarà così anche sulle riforme, sulle quali lavoreremo con la bussola dei cittadini».
Bondi è esplicito. Trattasi di definire che cosa si intenda per confronto interno, avverte, di capire gli obiettivi di quel continuo: «Siamo con il Pdl, ma». «Ci può essere una dialettica democratica che, partendo da un’intesa di fondo e dal riconoscimento di positivi e importanti traguardi ottenuti insieme nel corso di più di un decennio, produce risultati positivi e innovativi - scrive il ministro -. Si può dare tuttavia anche una dialettica politica che, invece di presupporre una storia condivisa e un comune investimento nel futuro» prefiguri «strade destinate a separarsi». E Bondi è la seconda via, che intravede nelle mosse di Fini, là dove, avverte, la sua Fare Futuro fino a qui ha cercato di «dimostrare che “il finismo è altro dal berlusconismo”, che “un’altra destra” è possibile», con la «riproposizione assillante di un futuro diverso per il Pdl, intravisto come “alternativo al berlusconismo declinante e al leghismo trionfante”», senza nascondere «l’avversione nei confronti dell’attuale destra e delle “truppe vocianti del Cavaliere”».
Lui sarà pure mite, ma in silenzio non ci sta: «Chi invoca il confronto è libero di esprimere idee e dissenso.

Ma deve anche ammettere che i destinatari del proprio furore polemico abbiano la possibilità di reagire». Se poi dovesse dirla a un piatto di maccheroni, la direbbe così: «Davvero questo Paese non può mai stare in pace?».

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