Boom, il cane che fiuta la morte

nostro inviato a Villa Sant’Angelo

È una favola brutta, da non raccontare ai bambini. È la fiaba di un orrore infrequente consumato tra i calcinacci di quella casa strizzata come una spugna che fino all’altra sera si specchiava nella chiesa di San Michele, il patrono festeggiato a settembre dai concittadini di Villa Sant’Angelo, 443 anime ritrovatesi nottetempo orfane di 17 figli. È la storia di un bimbo genovese dai riccioli biondi, Andrea, 3 anni appena. E di un coetaneo, a quattro zampe, che di nome fa Boom e che si guadagna le coccole del suo istruttore cinofilo dando la caccia agli umani in difficoltà.
Ci piace pensare che Andrea e Boom abbiano giocato a distanza di pochi centimetri fino a quando Andrea non s’è addormentato per sempre. Col dito in bocca, così come l’ha trovato la pala meccanica nel punto esatto in cui Boom abbaiava e grattava con le zampe anteriori. Andrea e Boom, la favola dal fine inappagato. È andata così. Quando il sisma ha preso a frustate le mura medievali a quindici chilometri da l’Aquila, Villa Sant’Angelo s’è difesa come una palma col tornado. Venti secondi son serviti a rassegnarsi all’idea di un tappeto di macerie disteso sull’85 per cento dell’intera superficie calpestabile. Poi si sono levate grida inumane, suppliche d’aiuto, reiterate preghiere da eutanasia immediata. Quindi s’è notata una camera con vista, con letto e baldacchino di macerie. Spunta una sagoma di donna, ferma, in equilibrio sotto le coperte perché oltre il lenzuolo c’è lo strapiombo.
Poco sotto, in quel lego di cubi di muro, c’è Andrea, e c’è accanto la sua mamma, Valentina. Manca il papà Stefano Esposito, che il parroco racconta essere un finanziere di Genova sceso in vacanza in Abruzzo, che di lì a poco si maledirà per tutta la vita di non esserci rimasto anche lui là sotto. L’hanno tirato fuori grazie a un altro cagnolone nero, «si chiama Visko, come l’ex ministro col kappa» ci fa lo spelling un soccorritore esausto. È l’amichetto di Boom, che col paraocchi di un fiuto addestrato passa a scandagliare la parte laterale di quel che resta del nulla. Cerca di qua, annusa di là, punta il muso, alza la coda, ricomincia, torna indietro, poi si ferma. Sembra una statua più che un bracco da ferma. Abbaia forte, fortissimo, più forte ancora. Scalcia con la zampetta, gli manca la parola. È il segnale che qualcuno c’è. «Se fa così – dice il carabiniere cinofilo Danilo – vuol dire che qualcosa di vivo potrebbe esserci. Andiamo». Un cenno a Giovanni, suo collega dell’Arma in quest’area di lacrime e polvere stranamente snobbata dai media. Anche Visko s’adegua, e passa altrove. Escono cadaveri uno dopo l’altro ma per vedere Andrea bisogna aspettare qualche ora. Si scava con le mani, si fa pressione con tubi innocenti, arriva pure il bravo sindaco, in ipnosi adrenalinica, che fa no-no con la testa. Altre ore scorrono lente e i cani stanno sempre lì, di guardia ad Andrea e alla sua mamma. Via del Medico è una parete impraticabile, la chiesa sta per venire giù quando una specie di lamento impercettibile affiora dai sassi anticipando di mezz’ora il ritrovamento in carne e ossa di un angioletto biondo. Boom abbaia, abbaia, abbaia così forte che il padrone lo deve portar via. Eccolo Andrea, 3 anni, in braccio a un eroe per caso che ridiscende la scala mobile di detriti frenando il pianto per non immischiarsi nel dolore del papà. Andrea, che a molti sembrerà una bimba, ha il dito in bocca. Non dorme, non ciuccia più. Se n’è andato insieme alla mamma che raggiunge nella terza stanza senza porte e finestre del Comune che il maresciallo Alfredo Venta ha trasformato in obitorio. Anche Andrea finisce in un sacco bianco, sigillato con cerniere di fortuna. Sopra c’è scritto il nome, il cognome, una data che avrebbe festeggiato coi genitori fra soli tre giorni. Valentina e Andrea, vicini per terra e a noi così lontani. Ora fa freddo. L’odore nelle camere è di quelli che non dimentichi più nonostante le mascherine e i foulard. Non c’è un rumore, un filo di vento, un alito di speranza. Non c’è un fiore in questo camposanto temporaneo che verrà smantellato al sorgere del sole.

Buttato laggiù, tra i lastroni di cemento dove si sperava risorgesse Andrea, c’è un pupazzo di peluche dai capelli gialli che gli somiglia troppo. Boom ha smesso di latrare, è esausto, sdraiato con le zampe davanti e il muso nero in mezzo. Ecco, la favola dei due cuccioli di Sant’Angelo finisce così. Non raccontatela ai vostri bambini. Dimenticatela.

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