Braccio di ferro tra Bresso e alleati: «Non mi metteranno in minoranza»

Il governatore: «Piuttosto mi dimetto io». La Ue dice no a una tregua olimpica

Andrea Costa

da Torino

Chissà se inizieranno mai i lavori in Val di Susa e chissà se i no global della rotaia riusciranno alla fine a strappare qualcosa in cambio dalla giunta di centrosinistra guidata da Mercedes Bresso che a dispetto del nome che porta da queste parti, in montagna, spinge come una Seicento. Certo il baccano è tanto e le reazioni che si sono susseguite ieri una dopo l’altra con richieste, suggerimenti e proposte non hanno fatto altro che surriscaldare nuovamente gli animi.
Perfino Bresso si è spinta sull’orlo del burrone arrivando a paventare davanti ai giornalisti le sue dimissioni, circostanza che per chi la conosce deve essere apparsa più una boutade per mandare segnali al professor Romano Prodi che di Val Susa per la verità vuol sentire parlare soltanto a patto che all’ordine del giorno ci sia un dibattito sulle tome d’alpeggio. Un silenzio assordante. E così Bresso se l’è dovuta cavare da sola e a Bruxelles, attaccata da no tav e dai professionisti della barricata (Verdi, Comunisti italiani e Rifondazione comunista) ha chiesto una tregua olimpica.
Insomma ieri è stata l’ennesima giornata convulsa iniziata con la proposta della presidente piemontese di uno stop dei lavori fino ad aprile: «Chiederò alla De Palacio se ci potrà dare una mano su un’ipotesi di tregua olimpica, tra metà gennaio e metà marzo». Nessuno però poteva immaginare che quelle parole avrebbero scatenato reazioni a catena che hanno ottenuto come unico risultato il secco e anche un po’ piccato no della responsabile Ue per la Torino-Lione, Loyola De Palacio: «Ho dei forti dubbi perché non capisco esattamente cosa vuol dire, che cosa accadrà e come sarà presentata. Ci sono regole molto chiare, ci sono impegni che devono essere adottati da parte del governo italiano e da parte di tutti gli attori coinvolti. Ritengo che una tregua olimpica - ha aggiunto - non ha alcun senso. Non c’è una guerra. Si può invece pensare come migliorare il dialogo, la cooperazione e i negoziati tra governo, sindaci e trovare più fiducia nella popolazione».
A quel punto Bresso con in mano una maggioranza sempre più sfilacciata e neppure più con l’appoggio della De Palacio si è trovata improvvisamente sepolta da critiche da destra e sinistra in una singolare ma autentica Caporetto: «Ma che senso ha una tregua olimpica? - si è domandato neppure troppo retoricamente il consigliere regionale di An Agostino Ghiglia - una soluzione del genere farebbe perdere solamente del tempo e anzi servirebbe ad incrementare le aspettative dei no-tav che diventerebbero ancora più motivati nell’ostacolare l’inizio dei cantieri». Il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa ha contestato il silenzio di Prodi mentre dall’altra parte Verdi e Comunisti italiani hanno continuato a picchiare sui tamburi della protesta, invano hanno chiesto di fermare le ruspe e invano hanno sperato che da Bruxelles arrivassero buone notizie che infatti non sono arrivate perché l’Unione Europea la Torino-Lione la vuole fare davvero. Volenti o nolenti, con o senza il consenso di Agnoletto. Perfino il presidente del consiglio Silvio Berlusconi è dovuto scendere in campo per sollecitare il Professore a uscire dal nascondiglio spendendo una parola sull’argomento. «Nulla di fisso, non c’è il bene o il male, Prodi dice solo quello che conviene. È il relativismo alle estreme conseguenze».
Insomma Prodi che tace, Berlusconi che incalza, buona parte della maggioranza contro e l’opposizione che mena bordate.

Il cerchio ha continuato a stringersi intorno a Bresso fino a quanto si è consumato il colpo di teatro: «L’unica cosa che non succederà è che mi mettano in minoranza, piuttosto mi dimetto ma non succederà certo che mi dimettano loro». A quel punto il quadro è diventato un dipinto. Ma il melodramma è solo all’inizio.

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