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Il brain training non è (solo) un gioco. Così cura l'Alzheimer

In Italia 900mila persone affette da demenza con 3 milioni di familiari coinvolti nell'assistenza. Studi e test scientifici dimostrano: programmi di «allenamento del cervello» possono costituire un valido supporto per la riabilitazione neurocognitiva

Il brain training non è (più) solo un gioco, o un piacevole passatempo da salotto. È scientificamente dimostrato che la ginnastica mentale può rallentare il decadimento cognitivo e curare i disturbi dell'apprendimento. Un consensus paper sul tema è stato presentato a Milano il 12 ottobre.
Dieci milioni in Europa, 36 milioni nel mondo, sono le persone affette da demenza. In Italia circa 900mila con più di 3 milioni di familiari coinvolti direttamente nell'assistenza. Nel 2030, però, si potrebbe arrivare rispettivamente a 15 e 65 milioni. Dall'età di 65 anni la percentuale di persone affette sulla popolazione generale raddoppia ogni quinquennio fino a 90 anni. Vale a dire il 12 per cento nella fascia 80-84 anni e 24% tra gli 85 e gli 89 anni. Oltre i 90 anni, interessa il 35-45% della popolazione. La malattia di Alzheimer è responsabile di circa il 50-60% di tutte le demenze ed è fortemente correlata con l'età.
In questo scenario Brainer, start up nata nel 2006 presso l'Incubatore di imprese innovative del Politecnico di Torino, si è proposta sul mercato come prima società italiana in grado di sviluppare programmi di training mentale e di stimolazione cognitiva complessa clinicamente validati. Grazie all'aiuto di specialisti in neuropsicologia e logopedia e alla ricerca informatica, Brainer ha realizzato una gamma di strumenti multimediali interattivi che allenano la mente e ne riabilitano specifiche funzionalità. Sono disponibili diversi livelli di difficoltà del software per permettere una scelta adeguata in relazione ai casi individuali. Gli esercizi di Brainer prevedono l'utilizzo del touch screen, sistema che agevole l'utilizzo del pc da parte di pazienti con deficit di varia natura e in contesti come quello ospedaliero o domiciliare.
Insomma si parte dal presupposto che, se il cervello viene opportunamente stimolato, come testimoniano numerosi studi, si attiva la capacità plastica neuronale, vengono cioè generati nuovi neuroni e aumentano le connessioni interneuronali. Il Training program di Brainer si articola in tre versioni rivolte ad anziani che vogliono prevenire le fisiologiche degenerazioni legate all'età, a malati di Alzheimer e pazienti affetti da demenze in fase iniziale. Professional completo con oltre 70 esercizi in gradi di stimolare svariate funzioni cognitive come percezione, attenzione, letto-scrittura, calcolo, logica-deduzione e memoria; Professional family con oltre 30 esercizi dedicati all'ambiente domestico; Professional evolution destinato a bambini e ragazzi con disabilità cognitive anche lievi e finalizzato al graduale inserimento scolastico.
Del resto la letteratura scientifica conferma gli esiti positivi dell'utilizzo del training cognitivo computerizzato sia nel declino intellettivo legato all'avanzare dell'età, sia nell'ambito dei disordini psichiatrici (schizofrenia e disturbi psicotici). Recenti studi hanno inoltre messo in rilievo i benefici che il training cognitivo può apportare per esempio a persone affette da Hiv, pazienti che spesso presentano un declino delle capacità cognitive, piuttosto che ai bambini autistici e a quelli con deficit cognitivo.
«Un training cognitivo clinicamente validato - spiega il professor Giuliano Geminiani specialista in Neurologia, docente di Neuropsicologia clinica all'Università di Torino - non solo migliora le prestazioni cognitive in compiti specifici, ma determina un aumento della plasticità cerebrale, che è il principale presupposto di una più ampia possibilità di riabilitazione delle funzioni intellettive». Quanto allo stato dell'arte sulla materia, la dottoressa Cinzia Negri Chinaglia, medico specialista geriatra, riabilitazione Alzheimer, Asp Immes e Pio Albergo Trivulzio di Milano riconosce che «le conoscenze sui meccanismi che causano la degenerazione e la morte dei neuroni in particolare nel morbo di Alzheimer sono tutt'ora lacunose. Si ritiene che vi siano, comunque, diversi fattori che possono provocare la malattia, agendo su un substrato genetico e determinando differente suscettibilità e risposta.

È però certo che attività fisica, il controllo del peso, l'attività mentale, la vita socialmente attiva e persino la dieta mediterranea hanno invece un effetto positivo».

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